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Letteratura

Perché proprio non mi è piaciuto “Cambiare l’acqua ai fiori”

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Si tratta indubbiamente di un caso editoriale e chiunque frequenti abitualmente una libreria lo sa bene: da più di un anno non si fa che parlare di “Cambiare l’acqua ai fiori”, romanzo scritto da Valérie Perrin ed edito, in Italia, da Edizioni e/o.

Acclamato da molti come un vero e proprio capolavoro ed eterno ritorno nelle discussioni dei gruppi di lettura, nel pieno del primo lockdown  ho deciso di dargli una possibilità sebbene non rientrasse nel genere di romanzi che, normalmente, prediligo, persuasa dalle recensioni positive che leggevo dappertutto.

Dopo più di un anno dalla sua lettura, ho accettato la triste verità: sono forse l’unica a cui “Cambiare l’acqua ai fiori” proprio non è piaciuto – e vi spiego il perché.

Solo una storia d’amore (e non ci sarebbe nulla di male)

La trama di questo romanzo ricalca abbastanza fedelmente il canovaccio del genere rosa: ci sono tre storie d’amore che scorrono parallelamente nel corso della narrazione – quella tra la protagonista e il padre di sua figlia; quella tra quest’uomo e una donna che abita il suo passato; e infine quella della protagonista con un nuovo amore – il cui sviluppo è tanto improbabile quanto banale, ma ci torneremo più tardi.

Sullo sfondo di queste vicende amorose due elementi che avrebbero potuto rinfrescare la storia o renderla almeno un po’ insolita ma che, purtroppo, non ci sono riusciti: il cimitero vicino al quale abita la protagonista – che si occupa della cura dell’ameno luogo –  e una devastante e in parte misteriosa tragedia che ha sconvolto la vita della donna. Ma questi due elementi da soli non sono riusciti, almeno nel mio caso, a risollevare una storia che ha rischiato più volte, nel corso della narrazione, di conciliare il sonno più che costringermi alla lettura.

Man mano che avanzavo tra le parole dell’autrice emergeva sempre più chiaramente la verità: “Cambiare l’acqua ai fiori” è solo una storia d’amore che accenna alla maternità.

E non ci sarebbe, in questo, nulla di male – certo sono argomenti che si ripetono eternamente in decine e decine di romanzi, ma in cui sicuramente molti riescono a ritrovarsi e che non passano mai di moda; il vero problema è che questo romanzo, né bello né brutto, è stato issato sulla vetta del capolavoro e paragonato a mostri sacri che, ovviamente, con lui condividono ben poco se non la specie animale a cui appartengono i protagonisti.

“Cambiare l’acqua ai fiori” intrattiene chi ama il genere, ma dice poco a tutti gli altri. Probabilmente, per parlare di morte e amore in questo modo sarebbe bastato un semplice racconto.

Piangersi addosso non è mai una buona idea

Quando ho iniziato a leggere il romanzo, in realtà, c’erano tutte premesse positive: Valérie Perrin scrive bene, nelle prime pagine la protagonista è quasi interessante e, di tanto in tanto, ci sono delle espressioni, delle descrizioni e degli aforismi che catturano l’attenzione del lettore, forse anche quello smaliziato.

Tuttavia, dopo i primi capitoli, ci si rende conto del difetto mortale che affligge tutti i personaggi che infestano questo volume: tutti, tutti – nessuno escluso – si piangono costantemente e inesorabilmente addosso. E questa non è mai una buona idea.

Il pathos che avrebbe dovuto contraddistinguere questa storia a tratti straziante – a momenti invece inutilmente pruriginosa – viene annacquato dalle abbondantissime lacrime dei protagonisti, incapaci di prendere in mano la propria vita e soprattutto di fronteggiare le difficoltà. Non si tratta di antieroi, ma solo di persone che intrecciano relazioni improbabili e che sembrano agire con l’unico, inverosimile scopo di complicarsi l’esistenza a vicenda.

Soluzioni improbabili che non sarebbero mai state perdonate ad altre storie

Ma non è questo l’unico problema di questo romanzo: molte delle soluzioni messe in atto dalla scrittrice per portare avanti o risolvere i conflitti messi in scena dai suoi personaggi sono, nella migliore delle ipotesi, assai improbabili.

La protagonista, una Mary Sue tanto lamentosa quanto priva di spina dorsale, essenzialmente non fa altro che lasciarsi scorrere addosso la vita, accettando passivamente qualsiasi cosa le possa accadere. Non importa che si tratti di relazioni amorose, di tradimenti o di tragedie, questa donna non farà altro che sospirare e volgere il viso verso il mare ripensando a quanto ingiusta e crudele sia stata la vita verso di lei – che però conserva, come fosse una novella Pollyanna, un animo buono e gentile nonostante le avversità.

Il compagno della donna riesce a sparire dalla sua esistenza senza alcuna fatica e senza che lei provi mai a cercarlo; i comportamenti di lui sono privi di qualsiasi logica e senso, insensatamente violenti e, aggiungo, criminali; il nuovo amore della protagonista le si avvicina in un modo assurdo e si innamora di lei perché… perché sì e senza alcuno sviluppo plausibile.

La storia avanza perché deve farlo e basta, ma simili soluzioni non sarebbero mai state perdonate ad altre storie e resta inspiegabile il motivo per cui, invece, in questo romanzo vengano considerate brillanti.

La complicata relazione tra marketing e poesia

Il messaggio portato avanti dal romanzo è confusionario e, per quanto mi riguarda, sgradevole. Sebbene l’idea iniziale potesse apparire valida, lo sviluppo non è del tutto riuscito e i protagonisti (tutti meno che gli infanti) sono odiosi.

Sebbene si tratti sempre di opinioni personali – e probabilmente questo romanzo piacerà moltissimo a persone diverse da me – leggere “Cambiare l’acqua ai fiori” potrà senz’altro essere utile a coloro che hanno intenzione di consacrare la vita al mercato: tra le pagine della Perrin emerge con estrema chiarezza la stretta relazione tra la poesia odierna e il marketing, tra un successo editoriale e una buona, ottima pubblicità.

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