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Costume e Società

La Tampon Tax scende al 10%: ma non è ancora abbastanza.

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Dopo anni di battaglie continue, la luce in fondo al tunnel sembra più vicina: l’iva sulla tampon tax è scesa al 10%.

Ma la strada è ancora lunga per arrivare a considerarli beni di prima necessità.

Per millenni, con l’ingresso nella pubertà iniziava per le ragazze una vita di vergogna: “ora hai le mestruazioni, sei una donna e quindi sei impura”.

Già Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, denunciava i pericoli di avere accanto una donna mestruata: vino inacidito, fiori appassiti, specchi appannati, api morte per non parlare poi del bronzo, arrugginito e puzzolente; nella Bibbia, precisamente in Levitico 15, 19-31, si parla diffusamente dei motivi per cui le mestruazioni siano da associare a un periodo di impurità e si invitano gli uomini a stare lontani da coloro le quali siano in questa fase terribile del mese.

Le donne lasciate sole, dall’alba dei tempi, cercano di trovare una soluzione ad una condizione che semplicemente esiste nella vita di ognuna.

Millenni di pensiero religioso e una cultura guidata dagli uomini hanno reso l’avere le mestruazioni un problema non solo sociale, ma anche economico. Sono anni che si parla della  Tampon tax, cioè dell’Iva sui prodotti igienici femminili che in Italia (ma non solo) era pari a quella imposta sui beni di lusso, pari al 22%.

Inutili le proposte di abbassarla al 4%, cioè quanto viene applicato a beni di prima necessità. La Tampon tax è lì, che costringe le donne a pagare di più per qualcosa che per loro è indispensabile.

La questione non riguarda soltanto i costi, seppure sia un lato da non trascurare: gli anglosassoni la chiamano period poverty, riferendosi in questo modo a tutte quelle donne che non possono permettersi di acquistare gli assorbenti igienici perché troppo costosi. Una situazione che spesso si riflette maggiormente sulle ragazzine, costrette a perdere giorni di scuola perché impossibilitate a lasciare casa loro.

Nel 2021 è semplicemente inaccettabile far passare il pensiero che avere le mestruazioni sia qualcosa riservato solamente alle donne ricche.

Dopo anni di campagne social (e non solo), di petizioni e di tanti altri modi in cui le donne hanno cercato di farsi sentire, tra i provvedimenti inseriti nella manovra 2022 c’è la riduzione dell’Iva per i tamponi e gli assorbenti femminili dal 22 al 10%.

La strada è ancora lunga per arrivare a considerarli beni di prima necessità.

«La riduzione dell’Iva sui prodotti per l’igiene femminile al 10% è sicuramente un primo passo, cui speriamo ne seguiranno altri ancora più decisivi per essere al fianco delle donne, che nel nostro Paese sono da sempre le meno pagate e le più coinvolte nei lavori di cura.» Ha dichiarato Elena Caneva, Responsabile centro studi WeWorld, che aggiunge «La Legge di Bilancio 2022 può segnare un cambio di passo nel percorso verso l’inclusione di genere e la riduzione del Gender gap».

Facciamo qualche passo indietro…

In Italia è stata introdotta per la prima volta l’iva sugli assorbenti femminili nel 1973. All’inizio si trattava di una tassazione del 12% che poi, nel corso del tempo, è cresciuta fino ad arrivare al 22%.

Nel 2016, il primo a porre la questione sotto i riflettori della politica è stato l’ex Pd Pippo Civati. Da allora ci sono state diverse proposte di legge mai discusse e vari emendamenti bocciati. L’ultimo tentativo nel 2019 è stato fatto da Laura Boldrini: l’ex presidente della Camera ha provato a rilanciare la battaglia con un emendamento per ridurre al 5% l’Iva, ma non è stato raggiunto il risultato.

In Italia è così, ma all’estero?

Il confronto con gli altri Paesi europei non aiuta l’Italia. Praticamente quasi tutti hanno mantenuto questo surplus sugli assorbenti, ritenuti un prodotto essenziale nella vita di una donna, a livelli bassi. E qualcuno lo ha addirittura cancellato.

In molti Paesi europei la situazione è migliorata già da alcuni anni: la Germania, ad esempio, dal 1 gennaio 2020 ha stabilito un’imposta sui prodotti igienici femminili al 7%, precedentemente era al 19%; anche il Lussemburgo è passato dal 17 al 3%  e dal 2015 un provvedimento in Francia ha ridotto l’imposta dal 20 al 5,5% e il Belgio è passato dal 2018 dal 21 al 6%; il Regno Unito ha portato la tassa al 5% nel 2000 e  nel 2005  l’Irlanda l’ha eliminata.

Perché la tampon tax è un’imposta ingiusta?

Gli assorbenti sono un’esigenza che si ripete ogni mese, non si può non usarli. Una donna, durante il periodo fertile, che dura in media quarant’anni, ha circa 450 cicli mestruali e consuma tra i diecimila e i 14mila assorbenti.

La questione della tassazione degli assorbenti non può essere letta solo attraverso una lente economica. Oltre la battaglia politica, c’è anche e soprattutto quella culturale. Equiparando i prodotti per le mestruazioni ad altri beni che non sono di prima necessità si manda alla società un messaggio distorto.

I prodotti igienici femminili devono essere considerati per quello che sono: beni essenziali la cui spesa inevitabile grava ingiustamente su chi deve usarli. Che in questo caso, sono solo le donne.

Ma non si parla solo di Tampon Tax in Parlamento…

Negli ultimi giorni, nel nostro Paese si è parlato di importanti provvedimenti per le donne: tra questi c’è l’approvazione unanime, da parte della Camera, della legge sulla parità salariale tra uomo e donna, che comporta misure per ridurre il gender pay gap nel settore pubblico e privato e sgravi contributivi per le aziende più virtuose in tal merito. Alle due iniziative si unisce poi il Family Act, un disegno di legge presentato dalle ministre per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti e del Lavoro Nunzia Catalfo che, oltre a un assegno universale mensile per ogni figlio a carico, prevede anche l’estensione del congedo di paternità e incentivi per il lavoro femminile. Anche in questo caso, il ddl va approvato da Camera e Senato.

La legge sul gender pay gap è un testo unificato che porta la firma della relatrice Chiara Gribaudo, del Pd, e che andrà a modificare e a integrare il Codice delle pari opportunità del 2006: pagare un uomo più di una donna è, in teoria, illegale, lo vietano la Costituzione articolo 37: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”; la Convenzione sull’uguaglianza di retribuzione per un lavoro di valore uguale dell’Organizzazione internazionale del lavoro, che l’Italia ha firmato nel 1953; e lo Statuto dei lavoratori del 1970, che proibisce la “concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio”.

A parte il nome un po’ infelice, il Family Act può essere una misura molto importante per le donne, in particolare per quelle che hanno figli e lavorano: infatti, oltre all’istituzione di un assegno universale per le famiglie e a misure per il sostegno alla natalità, il ddl prevede anche iniziative interessanti per l’occupazione femminile, fortemente penalizzata dall’organizzazione familiare e dal lavoro di cura ancora svolto in gran parte dalle donne.

Queste leggi e provvedimenti sono senz’altro un’ottima notizia in un Paese che è ancora molto indietro sul tema dell’uguaglianza. Tuttavia, come la storia insegna, le leggi da sole non bastano a incentivare il progresso, devono essere accompagnate da un più generale cambiamento dei costumi.

Affinché tutto questo avvenga, è necessaria una rivoluzione culturale che metta le esigenze delle donne al centro dell’agenda politica.

Si spera, quindi, che queste leggi si inseriscano in questo orizzonte e rappresentino degli iniziali passi avanti.

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