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3 anni agoon
“Ho pensato che a volte se nessuno ti ama soffri di meno.”
Difficile incasellare l’ultimo libro di Natalia Guerrieri, “Sono fame”, in qualche definizione. Potrei probabilmente dire che si tratta di un romanzo crudele o che forse addirittura si potrebbe parlare di un manifesto, una dichiarazione d’intenti, forse una chiamata alle armi.
Sicuramente quello che dirò però è che questo libro è un capolavoro, un romanzo dalle pagine affilate – denti di vetro che tagliano e mordono. Ogni parola è una ferita e la bravura dell’autrice è stata quella di riuscire a non farle sanguinare subito, proprio come succede con i tagli profondi e dolorosi che provocano le schegge di vetro.
“Sono fame” è un libro che divora, consuma la carne di chi lo legge, una storia che pone un accento di lacrime e sangue sulla voracità di una società che dopo averci promesso il cielo e le stelle mastica le nostre vite e ci lascia solo con qualche cicatrice e le ossa che ha sputato via.
Tutto, in questo romanzo, parla di fame. La protagonista, Chiara, vive a Roma ed è una rondine – una delle decine, centinaia di rider che ogni giorno consegnano pizze, panini, udon, kebab e qualsiasi tipo di cibo d’asporto. Chiara, mentre le parole si accumulano e scorrono le pagine, ha sempre meno fame, al contrario della città che, intorno a lei, non è mai sazia ed è sempre vorace.
Quella raccontata da Natalia Guerrieri è una storia di denti perduti, di coltelli e forchette e di una protagonista che si ritrova senza più carne tra lo scheletro e la pelle. Sullo sfondo di una capitale mostruosa e tentacolare, mentre qualcuno inizia ad ammazzare in modo cruento le rondini come lei, Chiara pedala, pedala e pedala cercando di spiccare il volo, di alzarsi in aria come gli uccelli che le prestano il nome a lavoro. Tutto le viene presentato come opportunità, come leggerezza e lei, cercando di seguire le regole del gioco, finge di avere le ossa cave, di essere una rondine per davvero e di poter volare.
Ma Chiara non può farlo davvero – è un’assurdità, il gioco è truccato e grottesco – e invece viene consumata, morsa e divorata da chiunque le si pari davanti, dall’amante troppo vecchio che la riduce a una “corda di carne” per il proprio piacere, al redattore di una rivista che denigra le sue parole solo per strappargliele, al lavoro che le promette libertà assoluta ma che in realtà la spinge a lavorare senza sosta e senza orario in un’eterna corsa al limite della schiavitù.
Il corpo di Chiara – fino ai colpi di scena finali – non è quello di una rondine ma quello pesante di un essere umano, anche se lei stessa e il mondo continuano a negarlo, e lascia dietro di sé una scia di sangue e sudore, di crampi mestruali e denti caduti.
“Mi sento riportata indietro nel tempo, a quando il futuro aveva un aspetto accattivante, pieno di occasioni.”
La protagonista è una dottoressa in filosofia e nel corso della narrazione ci sono continui rimandi alle opere di filosofi che, in un modo o nell’altro, si specchiano nella trama del romanzo. La scrittura di Natalia Guerrieri è asciutta ma, in barba alle parole barocche dietro cui spesso si nascondono certi baroni inconsistenti, è estremamente colta – ma non solo: l’autrice riesce a intrecciare perfettamente il proprio bagaglio culturale e le filosofie di Byung-Chul Han e Mark Fisher alla storia senza appesantirla e soprattutto senza scadere mai nel nozionismo sterile.
“Sono fame” è un mix micidiale di horror e filosofia che ricorda a tutti noi che siamo umani, che abbiamo dei corpi e soprattutto che viviamo ancora in una giungla dove tutto cerca di mangiarci, masticarci, consumarci, sfruttarci, una giungla che però si nasconde vilmente dietro la maschera della civiltà e che, in questo modo, trasforma anche noi nei nostri stessi carnefici.
Non aspettatevi jumpscare o trucchetti del genere: l’orrore di Natalia Guerrieri è profondo e strisciante, è uno specchio rotto e tagliente, un’angoscia in cui, in un modo o nell’altro, ci rispecchiamo tutti.
Perché dico che “Sono fame” è un capolavoro? Perché è un libro denso ma mai pesante che dice la verità, perché le parole dell’autrice fanno male, perché propone un punto di vista inedito, fresco, colto e bilanciato che non stanca.
“Sono fame” è un libro infestante che, come un fantasma, aleggerà a lungo nei pensieri di chi lo legge, un romanzo che si oppone alla logica fallace e pretestuosa del “volere e potere”. E forse nella narrazione di questa vita cannibalizzata, di questi denti perduti e di vetro tagliente, questa generazione di persone iper-formate, competenti e sfruttate, sedotte e ingannate da un mondo iperproduttivo troverà una voce che gridi tutto il loro disagio.
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