Vi è capitato mai di sentir parlare de “La società della performance” e di non sapere, esattamente, di cosa si tratta?
La scrittrice Sheila Khan ha condotto una ricerca in cui, in maniera impeccabile, ne spiega il significato.
“La società della performance è una società che divora tutto, rende tutto commercializzabile, cioè qualcosa attorno al quale è possibile creare un mercato, fare marketing, hype. E che soprattutto scardina il meccanismo centrale dello spettacolo, ossia la presenza da una parte di attori e dall’altra di spettatori, Oggi non esiste più il diaframma che separava la platea dal palco: oggi esiste solo il performer” spiega la Khan.
Nella società della performance noi tutti siamo protagonisti grazie ai social, un mondo virtuale in cui cerchiamo sempre l’approvazione della massa, attraverso, magari, una foto acchiappa like, un post su cui riflettere e commentare; abbiamo costantemente il bisogno di metterci in gioco.
Nonostante ciò ci sentiamo perennemente insoddisfatti. La nostra sete di approvazione non si appaga mai.
Cos’è la positività tossica?
Quando ci troviamo a vivere una situazione difficile, di solito, c’è sempre il fratello, l’amica o il conoscente che ci dicono: “Pensa positivo!”.
Spesso e volentieri, però, si parla di “Positività tossica”, ovvero, un atteggiamento eccessivamente positivo, che non permette di riconoscere le emozioni che stiamo vivendo, negando ogni emozione non classificabile come positiva.
La dott.ssa Erika Leoni di Guidapsicologi.it, intervistata dalla collega e giornalista di Vanity Fair Alessandra Sessa, spiega il significato della “Positività tossica”: “È la convinzione che se ignoriamo le emozioni difficili e anche le parti della nostra vita che non funzionano, saremo molto più felici».
Secondo la dottoressa Leoni l’essere eccessivamente positivi comporterebbe dei rischi: “Perché ci fa cadere in uno stato di negazione della realtà e ci costringe a reprimere le nostre vere emozioni: potrei sentirmi sbagliato perché provo rabbia, tendendo in questo modo a sopprimere quelle emozioni essenziali per la sopravvivenza e per fare esperienza nel mondo. Il problema è che la positività tossica semplifica eccessivamente il cervello umano e il modo in cui elaboriamo le emozioni, e può effettivamente essere dannoso per la nostra salute mentale. Sentirsi connessi e ascoltati dagli altri è uno dei più potenti antidoti alla depressione e all’ansia, mentre l’isolamento alimenta questi problemi emotivi, quindi sarebbe molto più utile identificare le emozioni che proviamo, affrontandole ed elaborandole, anche attraverso la parola”.
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