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Anora // RECENSIONE

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Di Anora, una love story sui generis scritta e diretta da Sean Baker, si possono dire molte cose – che sia spiazzante, amara e scintillante, che diverta, strappi qualche lacrima e che sorprenda – ma di certo non che lasci indifferenti.

La tragica commedia che ci racconta il regista, infatti, non solo dice più di quello che viene percepito nell’immediatezza della proiezione, ma continua a sussurrare nelle orecchie dello spettatore per settimane. Non è difficile capire perché Anora abbia conquistato una Palma d’Oro al Festival di Cannes e fatto incetta di premi: questo film può piacere o meno, certo, ma è indubbio che Sean Baker abbia qualcosa da dire.

Anora: di cosa parla?

Anora – detta Ani – è una ragazza di origine russa che vive a Brooklyn insieme alla sorella. Ani si guadagna da vivere lavorando come ballerina erotica in un club privato e offrendo, ad alcuni clienti selezionati, delle prestazioni sessuali a pagamento.

Sembra che la sua vita stia per prendere una svolta quando conosce Ivan, il figlio giovane e scapestrato di un oligarca russo, che dopo averla “prenotata in esclusiva” per una settimana le propone di sposarlo. Dopo qualche titubanza, Ani accetta e i due si scambiano i voti nuziali in una cappella di Las Vegas – ma le cose, dopo appena due settimane, precipitano: i genitori del ragazzo, scoperte le nozze, inviano un gruppo di uomini fidati nella villa dove i due neosposi vivono allo scopo di annullare il matrimonio.

Oltre la maschera

Se vi aspettate una storia d’amore incondizionato e di una coppia pronta a lottare contro il mondo intero pur di stare insieme, Anora potrebbe deludervi: Ani non è Cenerentola, e Ivan, al netto delle sue ricchezze da principe, non ha certo un animo nobile.

Ma di cosa parla allora questo film? Di persone, di ciò che sono oltre il ruolo che la società impone loro, oltre gli abiti che (non) indossano, delle parole che dicono, delle promesse che fanno e che rompono. Il regista ha fatto un gran lavoro sui personaggi – è evidente, a uno sguardo attento, che tutti, in questa storia, siano più di quanto venga raccontato: il grande merito di Anora è di aver costruito non delle maschere, ma degli esseri umani.

Show don’t tell (finalmente qualcuno ha saputo usarlo)

In questa pellicola c’è tanto – e finalmente usato bene e nel giusto contesto, aggiungo – show don’t tell: non sappiamo tutto di Anora, di Ivan e nemmeno del magnifico Igor’, ma gli attori riescono a mostrare e a far sentire, con piccoli gesti, microespressioni e pochissime, pochissime parole, molto più di quello che dicono.

I personaggi di Anora non si capiscono, ma si sentono, e hanno un livello di profondità che difficilmente si vede sul grande e piccolo schermo. Tra tutti, alla fine della visione, sembrerà di conoscere meglio proprio Igor’ – interpretato da uno Jurij Borisov davvero eccezionale – che ha meno linee di dialogo di tutti.

Il finale di Anora

Proprio per questo, oltre la trama che passa dall’essere una commedia divertente a una tragedia come fosse una caramella troppo dolce che diventa prima stucchevole e poi disgustosa, il finale spiazzante di Anora è eccezionale. Ci si possono vedere moltissime cose – non faremo spoiler, tranquilli – e spezza definitivamente il confine tra finzione e realtà.

È un happy ending? Difficile dirlo. È la fine di una storia inventata, che sembra più vera di molte cose che accadono nella realtà. Forse, il suo merito più grande è proprio questo: Anora dice qualcosa di sgradevole, ma di autentico.

Lo amerete o lo odierete, ma non importa: Anora va visto. Non ve ne pentirete, ve lo garantisco.

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