Un numero significativo di studenti e ricercatori provenienti dalla Striscia di Gaza, vincitori di borse di studio italiane, si trova costretto a una scelta drammatica: partire verso l’Italia senza poter portare con sé i propri figli. È il caso di M.A., un’architetta palestinese premiata con un incarico di ricerca in Italia, che si è vista porre dal Consolato generale d’Italia a Gerusalemme la dolorosa alternativa tra partire lasciando il figlio di sette anni a Gaza o restare insieme a lui, rinunciando alla borsa.
Secondo l’avvocata specializzata in diritto all’immigrazione Anna Brambilla, dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), il Consolato avrebbe la facoltà di rilasciare un visto in deroga alle procedure ordinarie anche per i figli minorenni in casi umanitari, ma “semplicemente non lo fa.”
La situazione
Come ben risaputo, Gaza vive un’emergenza drammatica. In questo contesto, la Conferenza dei Rettori (CRUI) ha creato un programma di “corridoi universitari” per accogliere studenti e ricercatori palestinesi nelle università italiane. Tuttavia, le regole per il ricongiungimento familiare restano rigide: servono reddito, alloggio e tempi di attesa lunghissimi.
Il risultato è una scelta dolorosa: partire per costruirsi un futuro o restare per non abbandonare i propri figli. Una contraddizione che trasforma un’opportunità accademica in un dramma umano.
Resta da vedere se le autorità italiane e gli enti coinvolti offriranno una risposta concreta e tempestiva per evitare che l’emergenza educativa si traduca in un’emergenza umanitaria personale.
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