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Cronaca

Sudan, la guerra dimenticata: crimini, oro e potere dietro al conflitto del Darfur

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Dopo diciotto mesi d’assedio, la città di El Fasher, ultimo bastione dell’esercito regolare nel Darfur, è caduta nelle mani delle Rapid Support Forces (RSF). La milizia, guidata da Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, ha annunciato la conquista della città, confermando di fatto il controllo sull’intera regione occidentale del Sudan.

Durante l’assedio, centinaia di migliaia di civili sono rimaste intrappolate senza accesso a cibo e aiuti umanitari. Testimonianze e video mostrano scene di violenza estrema: civili giustiziati per strada, stupri e attacchi su base etnica. L’ONU teme il ritorno di un genocidio come quello che, vent’anni fa, insanguinò il Darfur.

Origini dello scontro

Il conflitto, esploso nel 2023, contrappone l’esercito del generale Abdel Fattah al Burhan alle RSF, già eredi della milizia Janjaweed. I due avevano in passato collaborato per rovesciare l’ex presidente Omar al‑Bashir nel 2019. Nel 2021 l’esercito ha ottenuto la guida del governo di transizione, e da quel momento la rivalità interna si è trasformata in guerra aperta. Entrambe le parti sono accusate di crimini di guerra: attacchi ai civili, ostruzione degli aiuti e violenze su base etnica. Le RSF hanno radici nella milizia araba dei Janjaweed, che all’inizio degli anni 2000 aveva commesso massacri nel Darfur.

L’importanza di El Fasher e la ridefinizione del potere

La caduta di El Fasher segna un punto di svolta: il Sudan appare ormai diviso tra est, controllato dall’esercito, e ovest, dominato dalle RSF. Sullo sfondo interessi economici e traffici illegali: il paese è tra i principali produttori d’oro dell’Africa, ma gran parte dell’estrazione finisce nel contrabbando, alimentando il conflitto.

Secondo l’ONU, oltre 150 mila persone sono state uccise e 14 milioni costrette alla fuga. L’Europa e gli Stati arabi sono accusati di chiudere un occhio sui finanziamenti indiretti alle milizie. Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha chiesto la sospensione immediata delle forniture di armi e un cessate il fuoco “prima che il Darfur scompaia un’altra volta nel silenzio”.

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