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Trump: “Zelensky dovrà accettare il mio piano di pace”. Putin: “Una base per l’accordo”. Sei giorni per una nuova pace targata Trump.

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Ci sono sei giorni per capire se Volodymyr Zelensky accetterà un piano che molti considerano una resa oppure deciderà di proseguire da solo, senza il sostegno del suo alleato più potente. Sei giorni per capire se l’Europa saprà reagire all’ennesima mossa a sorpresa proveniente da Washington. Il piano di pace statunitense per l’Ucraina rischia di essere uno spartiacque nella storia dell’Occidente. Dopo giorni di indiscrezioni, il quadro appare più nitido: il presidente americano ha sostanzialmente confermato l’ipotesi, imponendo a Kiev una scadenza precisa, il Giorno del Ringraziamento.

Trump, durante un incontro con Zohran Mamdani, ha dichiarato che Zelensky “dovrà accettare il mio piano di pace”. Mosca, da parte sua, ha fatto capire di aver avuto voce nella stesura dei 28 punti della bozza: Putin ha affermato che il documento può essere “una base per porre fine al conflitto”, accompagnando però l’annuncio con un avvertimento: “Se Kiev non accetterà, conquisteremo altri territori”. La mossa di Trump rientra in una strategia più ampia: parte dal vertice di Anchorage con Putin, passa per il mancato incontro a Budapest e prosegue con un canale di comunicazione con il Cremlino rimasto costantemente aperto. Stavolta Trump ha cambiato approccio: invece di esporsi subito, ha agito dietro le quinte, delegando il suo fidato Steve Witkoff, già protagonista della preparazione dei colloqui per Gaza.

Le indiscrezioni diffuse sulla stampa internazionale hanno anticipato i contenuti del piano, ai quali poi Trump ha dato conferma diretta. “Giovedì è il giorno giusto per accettarlo”, ha detto a Fox News, liquidando le ampie concessioni territoriali richieste all’Ucraina: “Probabilmente quei territori li perderà comunque in poco tempo”. Sulle sanzioni contro la Russia, però, Washington resta allineata all’Ue: “Non intendo revocarle”, ha ribadito Trump. Il presidente americano non ha parlato personalmente con Zelensky: a farlo è stato il suo vice, J.D. Vance. Poco dopo, Zelensky ha parlato agli ucraini, spiegando chiaramente il dilemma: accettare l’ultimatum oppure andare avanti senza armi americane. “È uno dei momenti più difficili della nostra storia — ha detto — e potremmo essere di fronte a una scelta estremamente dura”.

In queste ore la partita diplomatica ruota attorno a quattro centri: Kiev, Mosca, Washington e Johannesburg, dove si riunisce il G20. Proprio lì i leader europei stanno preparando un contro-piano per bilanciare l’iniziativa americana. La mossa di Trump ha colto l’Europa di sorpresa, e lo si percepisce dalle reazioni: fonti diplomatiche parlano di un piano che “sembra scritto da un russo”, “vergognoso”, “nauseante”, addirittura “uno Squid Game”. C’è chi lo definisce “uno stupro che dobbiamo pure pagare”. Altri, invece, lo considerano un approccio “realistico”.

Tra i 27, le posizioni restano diversificate. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa — fanno sapere fonti ANSA — approfitteranno del G20 per capire quale sia l’orientamento del resto del mondo. Questo “sondaggio” servirà a definire i prossimi passi, incluso un possibile viaggio a Washington del gruppo dei Paesi più attivi, come avvenuto lo scorso agosto. Macron, Starmer e Merz, già prima di arrivare in Sudafrica, hanno telefonato a Zelensky chiedendo una “pace dignitosa” e la tutela degli interessi europei e ucraini. Nessuno dei tre ha bocciato completamente il piano Trump, pur apprezzando soprattutto i punti sulle “garanzie di sicurezza” per Kiev. Per loro, però, la linea del fronte deve essere “un inizio”, non un risultato finale. “Valuteremo ogni proposta realistica”, ha risposto Zelensky. Il cancelliere tedesco sta lavorando come mediatore: ha parlato sia con Trump sia con Giorgia Meloni, rimasta esclusa dalla telefonata collettiva. In serata, anche von der Leyen e Costa hanno chiamato Zelensky: “Siamo al tuo fianco, niente sarà deciso senza Kiev”. Ma per qualcuno queste parole rischiano di essere più un conforto che una reale garanzia, nel momento forse più buio per l’Ucraina.

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