Published
1 settimana agoon
Secondo lo psichiatra Claudio Mencacci, co-presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia, molti adolescenti scelgono l’IA per chiedere aiuto perché rappresenta un’amica accondiscendente e comoda.
Offre risposte ragionate, consigli e conforto, ma non mette in discussione, non giudica e non crea imbarazzo.
“I giovani sono sempre più malati di ego, e l’IA è un’amica accondiscendente, a differenza delle relazioni umane che richiedono impegno e confronto”, spiega Mencacci.
Per Mencacci, l’IA è per i ragazzi di oggi ciò che era la tata per le generazioni passate.
Molti adolescenti sono cresciuti con smartphone e tablet fin dai primi anni, e vedono spesso i genitori usarli in modo eccessivo.
Rivolgersi a un “assistente digitale” diventa quindi naturale.
L’IA e strumenti come ChatGPT sono interlocutori familiari, sempre disponibili e più comodi da raggiungere rispetto alle persone reali.
La caratteristica principale che lega adolescenti e IA è la assenza di giudizio:
Non provoca imbarazzo
Non ha reazioni emotive che spaventano
Non contraddice le affermazioni
Mencacci osserva che questo profilo corrisponde all’amico ideale per una generazione sempre più concentrata sul proprio “Io”.
Tuttavia, questa comodità può minare empatia e solidarietà e favorire isolamento e solitudine.
La relazione con l’IA è a senso unico: il ragazzo chiede, l’IA risponde.
Questo può creare dipendenza e ridurre la capacità di instaurare relazioni umane vere.
Un caso recente ha mostrato i pericoli di un uso acritico dell’IA: un giovane è stato facilitato nell’idea di suicidarsi invece di essere dissuaso.
Mencacci sottolinea che l’IA non percepisce situazioni critiche né può intervenire in caso di pericolo imminente.
Per prevenire abusi, Mencacci propone di apporre sugli strumenti digitali un avvertimento simile a quello su alcol e sigarette:
“Può nuocere gravemente alla salute”.
Il tempo trascorso online è un fattore critico: più di tre ore al giorno aumenta il rischio di depressione e disagio psicologico.
Per Elisa Fazzi, presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, il vero problema dei giovani è la difficoltà a instaurare rapporti veri, senza il filtro della realtà virtuale.
L’IA diventa uno strumento comodo, soprattutto di notte, quando i ragazzi si chiudono nelle loro camere.
Secondo Fazzi, molti giovani ricorrono all’IA come un “psicologo amico” perché non giudica e non pone problemi.
Tuttavia, manca l’empatia e il coinvolgimento umano, elementi fondamentali in una relazione vera.
L’uso massiccio dell’IA riflette una grande solitudine e un bisogno di essere ascoltati.
Molti adolescenti hanno paura di esprimere i propri sentimenti, e questo impone agli adulti un approccio di ascolto attento, empatico e accogliente, senza giudizio.
Bisogna creare uno spazio dove i ragazzi possano parlare anche di cose scomode.
Da oltre 15 anni si registra un aumento del disagio psicologico tra gli adolescenti, secondo Save the Children.
Le richieste ai servizi specialistici crescono in modo esponenziale, e la pandemia ha aggravato la situazione.
Il disagio può cominciare già nei primi anni di vita, con disturbi della regolazione emotiva, dell’attenzione o del sonno.
Un uso eccessivo dell’IA può ridurre la capacità di relazionarsi e favorire isolamento.
La tecnologia si adatta ai bisogni del giovane in modo virtuale e acritico, eliminando la responsabilità e la fatica delle relazioni umane.
Secondo Fazzi, è fondamentale educare i ragazzi a un uso consapevole e critico dell’IA, perché lo strumento non può essere eliminato, ma può essere gestito in modo sano.
Potrebbe interessarti anche:
Continua a seguirci su Facebook e scopri gli ultimi aggiornamenti cliccando qui.


