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9 mesi agoon
Un uomo, scomparso da anni, viene dichiarato morto e suo figlio Blake, che ha smesso di parlargli da prima che sparisse a causa dei suoi comportamenti violenti, eredita la casa di famiglia. Deciso a salvare il proprio matrimonio, Blake porta sua moglie e sua figlia in Oregon, deciso a trascorrere un weekend da sogno sul limitare del bosco – ma qualcosa va decisamente storto: prima ancora che arrivino alla meta, una creatura misteriosa e feroce li aggredisce, mordendo Blake. Cos’è il mostro che li ha assaliti? E cosa sta succedendo al protagonista?
Wolfman, ennesimo remake dell storia del 1941, tenta goffamente di unire l’horror al tema del trauma intergenerazionale ma il risultato, putroppo, è un film tiepido che dice poco allo spettatore. Wolfman prova a raccontare la storia non dall’esterno, ma dal punto di vista dell’uomo-mostro – forse metafora di violenza domestica, forse della natura violenta dell’essere umano – che perde, progressivamente, la propria umanità.
Si tratta, in effetti, dell’unica novità di questa pellicola – le scene migliori sono quelle in cui Blake, osservando i suoi familiari dopo essere stato morso e aver cominciato a trasformarsi, li vede sempre più alieni, anche se ci sono molti (troppi) rimandi visivi al sottosopra di Stranger Things – e forse quella che, se fosse stata seguita fino in fondo, sarebbe riuscita a trasformare un film noioso in qualcosa di quantomeno passabile.
Wolfman è un film che scontenta tutti: il continuo ripetersi delle stesse dinamiche – attacco/fuga/attacco/fuga – lascerà insoddisfatti gli amanti dell’adrenalina; la trama ben poco originale annoierà gli appassionati di horror; la caratterizzazione superficiale dei protagonisti indispettirà chi, in un film, cerca profondità e la mancata spiegazione delle dinamiche fantastiche della storia lascerà, infine, l’amaro in bocca a tutti.
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