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#LaSettimanaProspettive: Finire il liceo durante la pandemia

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#lasettimanaprospettive
articolo di Rosa Serra

#lasettimanaprospettive – Fin dall’infanzia ci siamo sentiti ripetere una frase specifica dagli adulti, vissuta quasi come una responsabilità da adempiere:

“Goditi questi anni, saranno i migliori della tua vita”.

Un concetto forse banale, inculcato nelle nostre menti fino a diventare un motto, un ideale da seguire. Ma è davvero così, o la pillola è stata inzuccherata?

Oltre il velo

Se già in tempi “normali” quest’affermazione potrebbe aver fatto dubitare molti, con le insicurezze e i disagi tipici dell’adolescenza, in tempi di pandemia risulta ancora più difficile crederci.

Nonostante il privilegio di vivere in un Paese sviluppato, con la possibilità di accedere ai dispositivi di sicurezza del caso e alla somministrazione dei vaccini anti-covid, guardare il lato positivo è una sfida a cui molti si sono sottratti. In particolare i più giovani, che hanno visto la loro vita accademica trasformarsi in una corsa contro il tempo.

Hanno tentato di apprendere quanto più possibile tra un DPCM e una videolezione, sognando i famigerati banchi di scuola come mai prima d’ora. Penso nello specifico ai maturandi 2020/21, di cui faccio parte, che si sono ritrovati a concludere il ciclo delle scuole secondarie dopo due anni a dir poco singolari. Credenza popolare è che il nostro diploma sia meno valido di quello degli anni precedenti, complici le facilitazioni di svolgere l’esame di stato senza prove scritte e la comodità di fare verifiche dietro uno schermo, in casa propria.

Ma vi siete mai chiesti cosa si cela sotto questo velo di agi apparenti?

Le schiene ricurve sui computer per almeno 6 ore al giorno, gli occhi stanchi, l’ultimo giorno di scuola passato nella solitudine della propria stanza. Le stesse quattro mura di sempre, statiche, con le tende tirate e in sottofondo, il telegiornale che annuncia sempre più casi.

La pandemia è stata per noi studenti una macchina del tempo

La pandemia è stata per noi studenti una macchina del tempo, sottrattoci da un giorno all’altro. Le ore sono passate senza che ce ne accorgessimo, i giorni ci scorrevano davanti come una parodia della vita che volevamo tornare a vivere. Si potrebbe riassumere in un fast forward che ci ha catapultati da un anno all’altro, senza saperci spiegare come.

Abbiamo studiato per impegnare le nostre giornate, cercando di star dietro a docenti che, pur volendo spronarci, convivevano con le nostre stesse difficoltà. Le ansie di sempre si sono moltiplicate, dovendo subire il peso di aspettative sempre più alte, il dover dimostrare la nostra preparazione nonostante i mesi passati fuori classe.

Abbiamo imparato a cavarcela da soli, è vero, ma a che prezzo?

Sicuramente siamo infinitamente grati di poter guardare avanti, al nostro futuro e a quello della società. La pandemia ci ha indebolito, ci ha tolto quasi ogni speranza, tranne una: quella di continuare a reinventarci, scoprirci, distruggere le regole imposteci e finalmente apprezzare ciò che la vita ha da offrirci. È stato rigenerante notare come, dopo questi due anni, moltissimi miei coetanei abbiano deciso di cambiare idea sul proprio percorso di studi, preferendo inseguire le proprie passioni.

Dopo l’esame, ci siamo spesso sentiti come se mancasse una chiusura, quasi non realizzando la fine di un capitolo così importante della nostra gioventù.

Non possiamo recuperare le emozioni perse, ma ne creeremo di nuove.

Il nostro augurio è quello di poter cominciare splendidamente un’altra parte fondamentale della nostra carriera. Poco importa se si continueranno gli studi all’università o se ci si dedicherà al mondo del lavoro. Abbiamo voglia di vedere nuovi posti, ascoltare nuove voci, e vivere la nostra nuova idea di socialità.

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