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Costume e Società

Perché il Femminismo fa bene anche agli uomini

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femminismo
articolo di Saveria Russo

Si sente parlare sempre più spesso di femminismo: è un concetto oramai entrato nelle nostre conversazioni quotidiane. Ma cos’è davvero e perché è, anche, per gli uomini?

Di femminismo si sente parlare sempre più spesso, dato che questo termine, con tutte le sue sfaccettature, è ormai entrato nelle nostre conversazioni quotidiane (e non solo). A volte, però, se si dibatte di questioni di genere, l’energia nella stanza cambia sensibilmente e si avverte un certo disagio, come quando si affrontano tematiche scomode e tabù: c’è chi si mette subito sulla difensiva, chi alza gli occhi al cielo come a dire “ecco, ci risiamo…”, né sorprende che sia così, dal momento che il femminismo è effettivamente un argomento scomodo. Il femminismo spinge a ripensare ad atteggiamenti e parole che, purtroppo, sono oramai parte integrante della cosiddetta “normalità”.

Secondo uno studio del 2018, condotto da Christina Scharff nel Regno Unito, meno di 1 donna su 5 si definisce femminista; paradossalmente, tuttavia, più di 8 persone su 10 tra quelle intervistate, affermano di credere nella parità tra uomo e donna.

Eppure, per femminismo s’intende proprio l’equiparazione economica, giuridica e politica fra i sessi. Perché, quindi, la parità spaventa così tanto?

Probabilmente, perché ammettere di essere in una condizione di disparità presuppone che, al momento, uno dei due sessi abbia dei privilegi rispetto all’altro, e non è facile ammettere di dovere rinunciare a qualcosa per riequilibrare la situazione.

Ma cos’è il femminismo?

Ma partiamo dalle basi, ovvero dalla definizione di femminista secondo il dizionario: aggettivo e sostantivo maschile e femminile, indica una persona che crede nella parità politica, economica e sociale dei sessi.

Le vere persone femministe, di qualsiasi genere, credono nella parità, non pensano che un genere sia migliore dell’altro o debba avere più diritti.

Nasciamo e viviamo in una società patriarcale, negarlo sarebbe come negare una reltà ovvia, oggettiva. Eppure, sebbene non si possa cambiare una società da un giorno all’altro, è necessario capire in che modo il femminismo aiuta le persone, uomini, donne e non binare, è fondamentale. Ed è necessario partire dal punto più cruciale dell’intero discorso: no, le femministe non odiano gli uomini e non si credono migliori di loro.

Il patrarcato non è un problema solo femminile

Che il patriarcato non sia solo un problema femminile, dovrebbe essere evidente a tutti: certo, a pagarne il prezzo più caro sono le donne, ma sono molteplici i condizionamenti che gli uomini subiscono nella nostra società. Se da sempre ci viene detto come dovrebbe essere e come si dovrebbe comportare una donna, anche dell’uomo abbiamo un’idea canonica e stereotipata. Essere “veri” uomini vuol dire rispondere a certi standard e questi standard hanno un nome: mascolinità tossica.

Si sta diffondendo sempre più sensibilizzazione rispetto alla nozione di femminismo e, attraverso discussioni e scambi di opinioni, si sta abbassando la soglia di tolleranza verso i comportamenti sessisti. Grazie a una pubblicità di Gillette diventata virale, per esempio, in diverse nazioni è emerso con vigore il concetto di mascolinità tossica, ovvero l’insieme di aspettative di genere che un uomo sente di dovere rispettare per essere definito tale.

Boys will be boys

Se, infatti, la società patriarcale impone una lunga lista di caratteristiche che la donna è obbligata a possedere per essere accettata (gentilezza, mansuetudine, espressione sorridente, indole taciturna e così via), anche gli uomini sono tenuti a rispettare una serie di criteri.

Secondo questa visione distorta, il “vero uomo” afferma la propria identità di maschio anche a discapito di altre persone. Non si lascia scomporre da niente, fa battute sessiste e troppo spesso viene perdonato per i suoi comportamenti omofobi e transfobici, “boys will be boyscanta Dua Lipa. Come se non bastasse l’uomo deve essere deciso, competitivo e non deve lasciare intravedere emozioni, fino a diventare violento e aggressivo pur di affermare la propria virilità.

Molte società occidentali non vedono di buon occhio un uomo che piange, un uomo che dimostra affetto e tenerezza o che, in generale, si lascia prendere dalle emozioni, tant’è che, soprattutto in certi ambienti, chi esce dallo schema viene punito con la derisione e l’emarginazione.

La mascolinità tossica potrebbe essere definita sia come una causa che come una conseguenza.

Causa di una serie di comportamente negativi, sia verso loro stessi che per gli altri; conseguenza di una educazione che impartisce modelli di genere ben definiti e che non devono essere mai trasgrediti. Infatti, è tutta qui che si gioca la partita della mascolinità tossica: i maschi sono (anzi, devono essere) diversi dalle femmine.

Mascolinità tossica e stereotipi

Fai l’uomo” o in inglese “Man Up”: quante volte abbiamo sentito queste parole. Sin dai primi anni di vita ci viene impartito un modello di riferimento in base al quale i bambini giocano con le macchinine, le bambine con le Barbie; per i bambini il blu, per le bambine il rosa, la danza non è adatta ai maschietti, meglio un sport più rude; i bambini devono vestire in un certo modo, si devono atteggiare in un certo modo.

Insomma, i maschi vengono educati per non essere delle femmine. Un ‘uomo vero’ è tutto ciò che non è femmina, perché il femminile è sinonimo di debolezza.

A partire dal contesto familiare e proseguendo, poi, con quello scolastico, attraverso stimoli che possono essere sia espliciti che impliciti, si riversano su maschi e femmine aspettative stereotipate alle quali ci si aspetta aderiscano. Da qui in poi l’intero apparato del privilegio maschile viene costruito su macro e microviolenze: dagli abusi alla svalutazione professionale.

Tutto questo ha come conseguenza principale l’omologazione: ogni società presenta un canone con il quale si deve essere in linea per essere considerati uomini. Non farlo significa essere outsider; farlo, talvolta, porta a conseguenze ben più gravi.

Aderire a questo modello patologico di mascolinità, infatti, vuol dire vivere nella convinzione che il potere appartenga all’uomo. In questo senso l’atteggiamento misogino di alcuni uomini è frutto della mascolinità tossica, intesa come espressione viva del modello patriarcale: la mascolinità tossica affonda le sue radici nello stereotipo che, pretendendo di far coincidere il ruolo sociale con il sesso biologico, distingue il femminile (emotivo, sensibile, amorevole) dal maschile (indipendente, competitivo, austero); il femminile, in questa ottica, è il negativo, ciò che da cui è necessario fuggire.

Della mascolinità tossica siamo tutti vittime, spesso inconsapevoli, ma alcuni atteggiamenti possono radicalizzarsi. La violenza di genere, ad esempio, in tutte le sue forme, è strettamente connessa a quel modello tossico di maschio che la società impone, perché fa leva sull’idea che l’uomo sia in diritto di esercitare un potere sulla donna.

Perché la mascolinità tossica nuoce agli uomini?

Concretamente, qual è il danno che la mascolinità tossica arreca all’uomo?

Il rischio che deriva dal non seguire questo “schema” di comportamente radicalizzato è quello di perdere lo status privilegiato, per questo tutto ciò che non è ‘virile’ è una minaccia. Ciò spiega anche il nesso tra mascolinità tossica e omofobia o transfobia: una cultura sessista e eteronormata come la nostra percepisce l’omosessualità come un vero e proprio attacco all’idea di ‘maschio’.

Un altro aspetto particolarmente delicato riguarda la violenza di genere: se da un lato è proprio la mascolinità tossica la sorgente da cui si sviluppa la violenze sulle donne, dall’altro gli uomini vengono percepiti quasi come immuni alla violenza e episodi di abuso sugli uomini vengono, spesso, trattati con ironia.
È evidente quanto sia dannoso crescere con questi modelli, sia per gli uomini che per le donne.

E allora che si fa?

Alla luce di questa riflessione emerge chiaramente quanto il femminismo e un lavoro di decostruzione degli stereotipi di genere, possano essere utili per evitare di rimanere cristallizzati nell’idea che esista un solo modo di essere uomini.

Un cambiamento radicale, però, non può avvenire da un momento all’altro: la prima regola per raggiungere un obiettivo è che esso sia realistico. Per questo, il primo passo potrebbe consistere in una maggiore consapevolezza individuale, mirata a notare (e a fare notare) atteggiamenti di mascolinità tossica a cui si assiste nella vita di ogni giorno. Se un uomo piange, per esempio, la reazione di chi lo circonda rischia di limitarsi a un «Non fare la femminuccia», mentre se mostra sensibilità rispetto a un certo argomento gli viene ricordato di «comportarsi da uomo».

È necessario provare a misurare parole e battute, evitare di affermare che qualcuno che conosciamo è lunatico perché “ha il ciclo” o perché “ha così tante paranoie da sembrare una donna”, e forse presto ci accorgeremo che staranno cambiando per il meglio anche gli uomini intorno a noi.

Il femminismo è di tutti e per tutti. Basta con la retorica del “Sono ragazzi”, basta con questo assenteismo da parte di una società che dovrebbe dare a tutti pari opportunità e dignità.

E’ necessario partire dal linguaggio, perché è proprio il linguaggio a distruggere ma, poi, anche a riparare tutto.

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