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Cultura

Forse non lo sai, ma… sei un comunista

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Spesso utilizziamo determinati termini “politici” per descrivere le ideologie o i modi di vedere il mondo di una determinata persona. Ma rispecchiano davvero i principi ed i valori su cui si è fondato o si fonda una corrente politica?

E’ quello che cercheremo di capire in questa rubrica: nessuno schieramento politico, nessuno di parte. Magari qualcuno, potrebbe riconoscersi tra le righe ed imparare, magari, ad utilizzare alcuni termini con più coscienza e responsabilità.

Cominciamo con una delle parole, probabilmente, più utilizzate a caso: COMUNISTA.

Cos’è il comunismo?

Si sente spesso parlare di comunismo. Ma di cosa si tratta esattamente? Il Comunismo è una dottrina politica ed economica basata sul concetto che la proprietà privata e l’economia basata sul profitto possano essere sostituite dalla proprietà pubblica e dal controllo comune dei mezzi di produzione, come ad esempio miniere ed industrie. Si può dire che il comunismo sia, insomma, una forma di socialismo. La differenza principale tra comunismo e socialismo sta nel fatto che il comunismo aderisce in linea di massima al ‘socialismo rivoluzionario’ ideato da Karl Marx (1818-1883), un rivoluzionario, sociologo storico ed economista tedesco. Per buona parte del XX secolo, circa un terzo degli abitanti del pianeta hanno vissuto sotto regimi comunisti. Caratterizzati in genere dalla predominanza di un partito unico, privo di particolari opposizioni.

Ma il comunismo è solo una “cosa recente”?

Tracce di comunismo, nell’antichità, si trovano in Cina, con l’idealizzazione di una mitica età dell’oro, in cui tutto era in comune e l’umanità felice. Poi nella Grecia classica, dove Platone (IV secolo a.C.) nella Repubblica auspicò una società in cui i governanti e i guerrieri, per poter essere liberi da interessi privati, avessero in comune i beni e le donne.

La tirannia non è una buona soluzione, né per chi la subisce, né per i suoi figli né per i suoi discendenti; essa piuttosto, è di per sé un fatto negativo.

Platone, La repubblica.

Anche la setta ebraica degli Esseni (II secolo a.C.- I secolo d.C.) patrocinava la comunione dei beni.

Nel cristianesimo delle origini vi era una corrente radicale, la quale affermava che l’unione dei credenti richiedeva la condivisione paritaria della ricchezza prodotta. Sant’Ambrogio sostenne che la proprietà era usurpazione.

Nella tarda antichità e nel Medioevo, fecero periodicamente la loro comparsa movimenti popolari ed esponenti religiosi, i quali predicavano l’avvento di un ‘millennio’ (millenarismo) che avrebbe visto il trionfo del bene sul male generato dalla divisione tra ricchi e poveri.

Nel corso della Riforma protestante nella prima metà del Cinquecento correnti del protestantesimo presero a predicare che il vero cristianesimo comportava il possesso collettivo dei beni. Tali furono quella guidata da Thomas Münzer in Germania nel corso della guerra dei contadini (1524-26) e il movimento degli anabattisti (così chiamati perché sostenevano il battesimo degli adulti), i quali crearono nel 1534 una repubblica teocratica comunista a Münster.

Chi furono i primi a teorizzare il comunismo?

I primi grandi teorici comunisti furono l’inglese Tommaso Moro e il calabrese Tommaso Campanella. Moro, reagendo alla dilagante miseria, delineò nel saggio del 1516 Utopia (che significa “senza luogo”) una società quale non si era ancora mai vista, organizzata sulla base di un progetto teso ad assicurare la pubblica felicità mediante l’uso dei beni in comune. Nell’isola di Utopia tutti lavorano e dividono con equità i prodotti della terra, consumando insieme i loro pasti.

E Campanella in La città del sole (1602) immaginò una società teocratica, dove non esisteva la proprietà privata, guidata da una minoranza di sapienti.

Nel corso della Rivoluzione inglese, intorno alla metà del XVII secolo, emerse un movimento i cui componenti rivendicavano il diritto dei poveri di impadronirsi della terra e di zapparla in comune (di qui il nome di “zappatori“).

In alcuni casi, tuttavia, si è tentato di mettere in pratica la comunione dei beni. Uno dei casi più eclatanti è forse quello della teocrazia anabattista di Münster (1534-1535), città in Vestfalia, dove, mentre le truppe cattoliche assediavano la città, vennero concesse la comunità dei beni e la poligamia, finché la città non venne espugnata nel 1535, ed i leader anabattisti torturati ed uccisi.

L’età della prima industrializzazione: gli utopisti, Marx ed Engels.

Nella prima metà del XIX secolo la diffusione della rivoluzione industriale, con la formazione delle grandi masse operaie, diede impulso al socialismo, il quale si pose il compito di farsi carico della questione sociale e di fondare una società liberata dal dominio dei capitalisti, e al comunismo, che ne era la corrente più radicale. Personalità come Claude-Henri de Saint-Simon, Robert Owen, Charles Fourier, Louis Blanc elaborarono vari progetti di riforma sociale pacifica, mentre Louis-Auguste Blanqui sostenne che bisognasse seguire la via della cospirazione e della dittatura del proletariato.

Il comunismo contemporaneo ha avuto inizio con il pensiero dei tedeschi Karl Marx e Friedrich Engels (nato nel 1820 e morto nel 1895), dai quali derivò il marxismo. I maggiori testi marxisti sono Il Manifesto dei comunisti (1848), scritto da entrambi, e Il capitale (1867), di cui fu autore Marx. Essi, che consideravano i loro predecessori degli utopisti e loro stessi dei comunisti scientifici, sostennero che lo sviluppo del capitalismo avrebbe portato inevitabilmente al trionfo del comunismo in tutto il mondo, passando attraverso una rivoluzione fatta dagli operai (e guidata dai comunisti) e la dittatura del proletariato.

Il comunismo al potere in Unione Sovietica e in Europa orientale

Marx ed Engels avevano pensato che la rivoluzione comunista sarebbe partita dai paesi capitalistici avanzati. Invece essa ebbe successo la prima volta nell’ottobre 1917 nella arretrata Russia, sotto la guida di Lenin, il capo del partito bolscevico. Giunti al potere, i bolscevichi stabilirono la dittatura non già della classe proletaria, ma del loro partito. Essi, dopo aver invano sperato che la rivoluzione si diffondesse in Europa, consolidarono il nuovo Stato, l’Unione Sovietica, schiacciando i loro nemici.

Morto Lenin, salì al potere Stalin, che, posta l’intera economia nelle mani dello Stato, nel corso degli anni Trenta rafforzò il paese creando un forte apparato industriale. La proprietà privata era stata abolita, ma quella sovietica non era affatto una società di eguali, bensì un sistema dominato dal solo partito comunista e da Stalin, un dittatore che usò la violenza terroristica per imporre il suo potere assoluto. I più grandi successi di Stalin furono la vittoria contro la Germania nazista nella Seconda guerra mondiale (1941-45), l’ascesa dell’Unione Sovietica al rango di superpotenza e l’estensione del comunismo nell’Europa orientale.

Dopo la sua morte nel 1953, il sistema da lui creato non subì modifiche sostanziali, anche dopo che Nikita S. Chruščëv ebbe denunciato i crimini del dittatore. Nel periodo del dominio di Leonid I. Brežnev l’Unione Sovietica raggiunse la massima potenza militare, ma iniziò il declino della sua economia, incapace di ulteriori sviluppi.

Non è il censo, né l’origine nazionale, né il sesso, né la carica o il grado. Ma sono le capacità personali di ogni cittadino che determinano la sua posizione nella società.

Stalin, Sul progetto di Costituzione dell’U.R.S.S.

 

Nel 1985 divenne segretario generale del Partito comunista Michail S. Gorbačëv, che tentò vanamente di rinnovare il sistema, il quale però subì una crescente crisi che infine determinò nel 1989 il crollo dei regimi dell’Europa orientale e nel 1991 la dissoluzione della stessa Unione Sovietica.

Cina e Cuba

Dopo il 1945 i comunisti salirono al potere anche in Cina, nella Corea del Nord, in Vietnam, in Cambogia. Poi a Cuba, paese dove dal 1959 è al potere Fidel Castro.

La Rivoluzione cinese fu guidata da Mao Zedong, che, conquistato il potere nel 1949, iniziò la modernizzazione del paese attraverso periodiche ondate di violenza, l’ultima delle quali fu la ‘rivoluzione culturale’ (1966-73), volta a sradicare le influenze della vecchia mentalità. Morto Mao, salì al potere nel 1978 Deng Xiaoping, il quale iniziò un corso di riforme, che ha avuto quale esito di porre fine all’estremismo e di inserire la Cina nel mercato internazionale.

Chi sono i comunisti oggi?

Bisogna fare qualche precisazione a proposito di alcune tesi che si pretendono rifondatrici di un discorso comunista. Mentre invece tolgono la stessa possibilità di parlare di comunismo.

  • Ci sono in primo luogo tesi che destoricizzano e dematerializzano, unitamente all’idea del potere, quella di comunismo.

Sono spesso concezioni abbarbicate al passato, all’ideologia del “socialismo reale” . Non riconoscono quanto il mondo del capitale e le lotte di liberazione siano oggi mutati. Si ostinano a pensare il potere come esercizio generico di comando o di terrore. Vedono lo sfruttamento come schiavitù generalizzata, riconoscendo impropriamente ogni condizione produttiva come una sottospecie dell’accumulazione originaria, e quindi riducendo lo sfruttamento ad un mero esercizio di violenza. Come se non fossimo nel mezzo di un ciclo di trasformazione produttiva e sviluppo tecnologico la cui complessità rende impossibile ogni semplificazione del comando.

  • E ancora, non sono comunisti coloro che, dicendosi tali, pensano tuttavia che l’alienazione capitalista abbia raggiunto, nel neoliberalismo, l’anima e il cervello di ogni lavoratore e che ormai non ci sia più produzione di soggettività se non quella che il capitale costruisce attraverso la sua organizzazione del lavoro, a volte consolidata dall’azione dello Stato.

Che cosa potrà allora produrre lotte e costituire resistenza? Che cosa potrà risoggettivare l’azione rivoluzionaria? Lo stacco che qui si pone tra la forza di assoggettamento del capitale neoliberale e la potenza reattiva del soggetto produttivo, del precario, del proletario è talmente grande che la rottura (il fare rivolta ed il costruire azione rivoluzionaria) sembra loro impossibile, inconseguibile – meglio, la virtuale rottura secondo loro è schiacciata da un rapporto asimmetrico impossibile da squilibrare.

Che cosa potrà ridare, in questa situazione, forza soggettiva alla ribellione? Loro dicono: nulla che sia legato alla vita sfruttata, al corpo battuto e stanco di lavoro, al cervello costretto dall’algoritmo. Solo un risveglio radicale, un evento intellettuale, morale – pretendono – permetterà di ripensare la democrazia in maniera rivoluzionaria. Insomma: l’immaginazione ci salverà – un desiderio dematerializzato e desoggettivato, che nasce nel vuoto della condizione di assoggettamento. Così dicono. Ma questa concezione psicologica, immateriale se non semplicemente idealista della rinascita della lotta comunista dimentica l’essenziale: la potenza del lavoro vivo, protagonista della produzione.

  • Non sono comunisti in terzo luogo coloro che pensano che non si dia resistenza se non in termini di “destituzione” dell’ordine presente.

Quando si parla di destituzione si intende la volontà di rifiutare radicalmente ogni rapporto con il potere. Di intraprendere un esodo dalle condizioni stesse del produrre, come se potere e produrre fossero sinonimi. È chiaro che questo progetto si presenta come un’estrema ipotesi di distacco dalla materialità della vita e di astratta separazione dalla schiavitù del capitale. Il comunismo è appropriarsi della natura e produrre vita, in maniera comune, creativa.

  • Non son comunisti infine coloro che immaginano, nel crepuscolo dell’occidente, che la liberazione non possa più esprimersi che attraverso l’esercizio della violenza. La guerra di classe è la continuazione della lotta di classe, è la continuazione di una politica dell’uomo per l’uomo.

Che cosa significa lottare, quindi, per i comunisti?

Significa molte cose. In primo piano, significa spostare il comando sulla cooperazione sociale dalle mani dei padroni a quelle dei lavoratori sociali. Ma spostare il comando è un’operazione ambigua perché il capitale è mobile nel suo occupare lo spazio della produzione. Ed è liquido nel proporsi su quello della riproduzione sociale. In secondo luogo, allora per i comunisti lottare significa essere capaci di penetrare le maglie del comando per romperle ed appropriarsi del capitale fisso.

Mi spiego: oggi il lavoro è essenzialmente cognitivo, esso dispone della possibilità di agire con relativa autonomia all’interno dei meccanismi produttivi e dipende da mediazioni fluide nello scontro che lo oppone al capitale. Esso può dunque usare di questa relativa autonomia e di questa fluidità della mediazione per appropriarsi di capitale fisso – per farsi macchina dentro e contro la struttura macchinica dello sfruttamento. Il General Intellect è oggi il materiale sul quale il capitale costruisce valorizzazione. È sul cervello, verso la sua riappropriazione da parte del lavoratore collettivo che oggi si orienta la lotta. Finalmente, come auspicava Marx, “il vero capitale fisso” si è rivelato “essere l’uomo”.

Così, facendosi macchina, la forza lavoro si soggettiva, il corpo e il cervello del lavoratore che hanno fatto propria l’intelligenza della macchina, possono ora rivoltarla contro il padrone.

Questo processo di appropriazione di capitale fisso si è sempre dato nella storia operaia, almeno da quando il lavoratore è stato formato nella “grande industria”. Anche la vecchia fabbrica non poteva funzionare senza l’intelligenza dell’operaio.

Oggi, nell’età post-industriale, il corpo e il cervello del lavoratore non sono più docili al dressage, all’addestramento padronale, al contrario sono più autonomi nel costruire cooperazione e più indipendenti dal comando organizzativo. Il comando padronale è infatti uscito dalla fabbrica, si è raccolto nel capitale finanziario. Ci avvolge certo, ma non ci determina più dall’interno, si è esteso ovunque ma proprio per questo si è esteso il terreno della resistenza e delle lotte. La sua presenza è parassitaria perché è sempre seconda rispetto alla produzione cooperativa sociale. I lavoratori comunisti, come macchine dentro e contro la macchina della produzione e della riproduzione sociale, possono così agire in maniera rivoluzionaria.

Ma quello che è ancora più importante è che, in questa condizione, ogni loro movimento all’interno della macchina della produzione è anche eccedenza. Invenzione teorica, arricchimento della vita e approssimazione ontologica ad un nuovo modo di produrre. Ogni loro movimento all’interno dei processi capitalisti di estrazione del comune è immediatamente un nuovo modo di istituzione del comune.

 

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