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7 mesi agoon
Su ciò che è accaduto tra Elisa Di Fracisca e Benedetta Pilato nelle ultime ore si è detto di tutto e, con le scuse di Di Francisca, la questione in sé potrebbe dirsi conclusa. Ma l’idea che un quarto posto alle Olimpiadi non sia qualcosa di cui è possibile gioire è un argomento su cui, a prescindere dalle protagoniste della vicenda, vale forse la pena di spendere qualche parola.
Come si è arrivati al punto di pensare che diventare la quarta persona più veloce al mondo in una determinata disciplina non sia abbastanza? Che essere alle Olimpiadi non possa rappresentare un traguardo e il giorno più felice nella vita di un’atleta?
Che ci piaccia o meno, il modello su cui si basa la nostra società richiede, per funzionare, una crescita infinita – e se può funzionare sulla carta, nella pratica, a tutti i livelli, questa è una richiesta impraticabile nel lungo termine. Tutto ha un limite: le risorse del pianeta (vuole la coincidenza che proprio oggi sia l’overshoot day), la capacità del mercato del lavoro di assorbire manodopera e anche le ore in cui un essere umano può lavorare, allenarsi, scrivere e faticare nel corso di una giornata.
Giocare all’eterno rialzo non solo è impraticabile, ma anche pericoloso. Lo sappiamo dai tempi di Faust e forse anche da prima: quando i limiti vengono superati c’è sempre un prezzo da pagare. E anche senza scomodare l’anima, la crisi ambientale, economica e lo stato della salute mentale collettiva continuano a ricordarcelo.
Ti piace nuotare? E non basta: questo talento devi farlo fruttare. Competi? Vai avanti: devi essere la più brava. Sei alle Olimpiadi, tra i migliori del mondo – e a che serve? Corri e vinci, se non sali sul podio non sei nessuno. E solo se otterrai abbastanza ti si riconoscerà di essere qualcuno, un essere umano: in questo mondo inospitale che abbiamo costruito, tu sei i tuoi risultati. Sei la medaglia, il voto universitario, il numero sulla bilancia e sul conto corrente, le tacche sulla cintura. Non sei più una persona, ma un numero. Nulla viene fatto per passione o per amore, ma solo per eseguire una performance.
In questo posto scomodo e a misura di macchina che abbiamo messo su, sull’altare di questi numeretti sempre più bassi le persone sacrificano tutto – la propria salute fisica e mentale, gli ideali, i rapporti personali, le comunità, persino la sincerità dell’arte. Siamo bravi, sempre più bravi. E basta.
In questo contesto, le parole e il sorriso di una diciannovenne felice del percorso e non del traguardo sono percepiti come una minaccia. Se la società della performance, per cui si è sacrificato tutto, viene scardinata, tutte quelle mutilazioni subite saranno inutili, vane. La sofferenza che ci siamo inferti non avrebbe senso né ragione.
Ma è Benedetta Pilato quella che ha ragione.
Le Olimpiadi sono sicuramente una gara che premia i migliori. Potrei scrivere che ottenere l’oro non sia l’unico obiettivo – che ce ne facciamo dello spirito sportivo, della fratellanza e, se proprio dobbiamo dirlo, del dare il massimo per il gusto di farlo? – ma invece scriverò un’altra cosa: gli obiettivi sono un inganno. Sì: gli obiettivi sono un inganno e non possono essere ciò su cui si fonda un’identità, perché sono un punto d’oro nell’orizzonte della vita, qualcosa che vive meno dei fiori di ciliegio.
Non so se chi legge queste parole ha visto Bojack Horseman (non temete: niente spoiler).
All’inizio della serie troviamo Bojack, famoso attore caduto in disgrazia, alcolizzato e depresso, che, dopo la caduta dalla vetta, non sa cosa fare della propria vita. Bojack vede e rivede i DVD della sit-com che lo ha reso famoso e beve. Non ama nessuno, ha pochi amici e non fa altro che rivangare il passato. Dopo aver raggiunto il suo obiettivo, quello di diventare famoso, non sa come fare a vivere.
Cosa c’è il giorno dopo il podio? Può esserci tanto: tutto l’amore del mondo, un’infinità di viaggi, di interessi, di rapporti umani.
Dopo la premiazione c’è tutto il resto della vita. Ma per chi si identifica solo con il risultato, chi vuole ridurre tutto a un numero, per chi crede che tutto ciò che c’è sotto la vetta non sia mai abbastanza, il giorno dopo i premi, la medaglia, la laurea e il lavoro, c’è solo Bojack Horseman.
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