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Perché la libertà di espressione deve essere esercitata con responsabilità.

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Formalmente sancita nel 1948 nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la libertà di espressione è diventata probabilmente l’elemento più contestato della moderna democrazia rappresentativa in tutto il mondo. Mentre è minacciata in un numero crescente di Paesi, i suoi limiti sono messi alla prova in altri .Ci troviamo ad un vero e proprio bivio critico.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Parigi nel 1948, afferma all’articolo 19, che “ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”

La libertà di espressione, quindi, si riferisce alla capacità di un individuo o di un gruppo di esprimere le proprie credenze, pensieri, idee ed emozioni su diverse questioni senza censura. Ma è un diritto assoluto? Chiaramente no.

Un esempio recente viene dalla Svizzera, quando l’anno scorso i cittadini hanno votato con il 63,1% contro il 36,9% a favore di una legge che vieta la discriminazione anti-LGBT, Nel quadro di un referendum sui limiti della libertà di parola.

Un altro referendum nel 1994 aveva già stabilito che l’omofobia è un crimine, non “una questione di opinione”. Nel frattempo, varie fonti e classifiche mostrano che i media svizzeri sono liberi da interferenze editoriali e governative; ma ci si aspetta che aderiscano al codice penale, che proibisce discorsi razzisti o antisemiti così come omofobi.

Durante la pandemia, tuttavia, sono emerse nuove sfide.

Da un lato, sono sorte forme di pensiero negazionista, come quelle propinate da gruppi anti-scienza e anti-vaccini. Dall’altro, vi sono persone che ritengono che i governi stiano “approfittando della pandemia per introdurre più controllo e meno democrazia”.

Quest’ultima affermazione viene dagli “Amici della Costituzione” in Svizzera, che lo scorso autunno hanno raccolto delle firme per contestare la “legge Covid” del 2020, che il governo e il Parlamento svizzero hanno elaborato per gestire la risposta al coronavirus. Il voto del 13 giugno sarà probabilmente l’unico caso al mondo in cui i cittadini saranno direttamente in grado di prendere una decisione vincolante sulla risposta del loro Paese alla pandemia.

Libertà di espressione: pilastro della democrazia moderna.

La libertà di espressione è quindi un diritto fondamentale ma non assoluto. È anche un pilastro della democrazia moderna.

Ciò è riconosciuto dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, adottato il 15 dicembre 1791, che garantisce che “Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o della stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti.” All’epoca, un obiettivo chiave dell’emendamento, sottolineato da Thomas Jefferson, era quello di costruire “un muro tra Chiesa e Stato”. Ma col tempo, la libertà dei media e di parola è diventata una componente fondamentale dei governi democratici. Dato che il diritto alla libera espressione mostra l’apertura di un sistema politico a permettere controlli sul suo potere e a prendersi le sue responsabilità.

Oggigiorno, la libertà di espressione sta affrontando minacce crescenti.

Da un lato, gli autocrati si stanno moltiplicando in tutto il mondo, così come le persecuzioni dei media indipendenti e degli attivisti sociali. Dall’altro lato, l’influenza sempre maggiore delle grandi aziende tecnologiche ha creato nuovi problemi per i sistemi democratici esistenti. Una combinazione di entrambe le sfide – leader autoritari e nuovi media – si è incarnata nell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Tuttavia, la decisione di Twitter e Facebook di sospendere i suoi account ha anche lasciato irrisolte domande cruciali. Le aziende private dovrebbero essere incaricate di decidere quali affermazioni sono accettabili? Dove si trovano i limiti tra i discorsi di odio e la libertà di espressione? I social media stanno portando all’erosione della libertà di stampa plurale e indipendente?

Sotto pressione.

Nel 2021, diverse nazioni del G20, tra cui Brasile, India e Turchia, stanno vivendo un declino della democrazia o si stanno trasformando in autocrazie. La Polonia è in testa in questa dubbia corsa. I numeri riportati dall’istituto Varieties of Democracy (V-Dem) di Göteborg sono impressionanti: il 68% della popolazione mondiale (87 Paesi) vive ormai in regimi autocratici; l’India, con una popolazione di 1,37 miliardi, è recentemente regredita da “più grande democrazia del mondo” ad “autocrazia elettorale”. Tra i fattori che hanno portato alla retrocessione dell’India, i più sostanziali sono state le minacce alla libertà dei media, del mondo accademico e della società civile.

Il numero di democrazie liberali è sceso da 41 nel 2010 a 32 nel 2020, e ora conta solo il 14% della popolazione globale. Le democrazie elettorali sono presenti in 60 Paesi e rappresentano il restante 19% della popolazione mondiale.

Il modello seguito dalle aspiranti autocrazie è quasi sempre lo stesso. “I governi al potere prima attaccano i media e la società civile, e polarizzano le società mancando di rispetto agli avversari e diffondendo informazioni false, poi minano le elezioni”.

Le proteste a Hong Kong nel 2018 e 2019 chiedevano più democrazia.

La risposta della Cina è stata la repressione violenta e la legalizzazione delle restrizioni. La legge sulla sicurezza nazionale, approvata a metà del 2020, significa che i cittadini non sono più liberi di esprimersi. Anche la Russia ha intrapreso un percorso repressivo arrestando e imprigionando il leader dell’opposizione Alexei Navalny – dopo un tentativo fallito di ucciderlo. (Il governo svizzero si è unito agli appelli internazionali che chiedono il “rilascio immediato” di Navalny).

A livello globale, anche la libertà di espressione è particolarmente sotto pressione. Secondo V-Dem, l’anno scorso 32 Paesi hanno assistito al declino sostanziale di questo pilastro democratico; tre anni fa, il numero era “solo” 19. E nell’ultimo decennio, otto dei dieci indicatori democratici in peggioramento erano legati alla libertà di espressione.

Il populismo illiberale come segno di stanchezza.

C’è anche una tendenza globale che merita maggiore attenzione: la recente ascesa di leader populisti illiberali in tutto il mondo. Questo emergere del populismo è un sintomo di stanchezza. Le disuguaglianze strutturali in molti Paesi – e specialmente nel sistema politico statunitense – così come il crescente razzismo (come capro espiatorio della disuguaglianza) sono stati i motori della popolarità dell’ex presidente americano Donald Trump, per esempio.

Per contrastare questa tendenza de-democratizzante, non ha senso bloccare tali leader e partiti. Piuttosto il loro discorso deve essere contrastato democraticamente, offrendo alternative attraverso la cittadinanza attiva e più democrazia. Quando un sistema politico non è in grado di fornire né benessere sufficiente né la protezione dei diritti umani, i discorsi di odio aiutano a mobilitare l’elettorato. Dietro questo meccanismo, c’è l’incapacità dei leader e del sistema di rispondere alle richieste della popolazione e di dimostrare che la politica può cambiare le cose.

Come può la politica cambiare le cose? Permettendo la partecipazione democratica, migliorando le condizioni per la formazione dell’opinione pubblica e l’esercizio dei diritti politici. In altre parole, non c’è democrazia senza libertà di espressione.

In Italia?

L’articolo 21 della Costituzione se con il primo comma garantisce la liberta per ciascuno di manifestare liberamente il proprio pensiero, con il sesto e ultimo comma, ne determina i limiti. In questo bilanciamento vanno individuati i giusti confini della liberta di espressione. Il neminem laedere, tramandato dai codici di diritto romano, deve trovare applicazione anche per la liberta di espressione e il diritto alla satira. Che non deve mai varcare il confine dell’offesa alla sensibilità altrui.

La libertà di espressione e di informazione, declinata nella forma di libertà di stampa ha raggiunto, nell’anno 2020, risultati preoccupanti. Sulla base della classifica annuale che misura il tasso di libertà di ogni Stato focalizzandosi sul pluralismo informativo, sull’indipendenza dei media, sulla trasparenza e sulle infrastrutture, l’Italia si trova al 41º posto, in coda a tutti i principali Stati europei e finanche a diversi Paesi extraeuropei.

IL DIFFICILE EQUILIBRIO TRA LIBERTÀ DI STAMPA E TUTELA DELLA REPUTAZIONE, ALLA LUCE DELLA PIÙ RECENTE GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE.

La recente ordinanza n. 132 del 2020 della Corte Costituzionale riaccende il dibattito e rende viva la questione, classica ma senza dubbio di stringente attualità, del difficile equilibrio da raggiungere tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione della persona.

Come noto se la tutela della libertà di manifestazione del pensiero è garantita dall’art 21 Cost., l’onore e la reputazione trovano il fondamento costituzionale negli articoli 2 e 3 Cost. e ampia tutela nella legislazione ordinaria che, in quanto sviluppo della Costituzione, sanziona il reato di diffamazione, intesa quale offesa perpetrata ai danni di una persona assente, tramite comunicazione con due o più persone. L’art 595 c.p. e l’art 13 della legge n. 47 del 1949 prevedono poi un aggravante al reato di diffamazione, consistente nella pena detentiva in via alternativa o cumulativa rispetto alla pena pecuniaria, qualora il responsabile del delitto di diffamazione, rappresentato dall’attribuzione di un fatto determinato, si avvalga dell’uso della stampa.

È proprio l’eventualità di un’applicazione cumulativa di pena detentiva e pecuniaria che, dopo ampie critiche dottrinarie, ha suscitato dubbi di costituzionalità.

La Corte rammenta così che «la libertà di manifestazione del pensiero costituisce – prima ancora che un diritto proclamato dalla CEDU – un diritto fondamentale riconosciuto come “coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione” (sentenza n. 11 del 1968), “pietra angolare dell’ordine democratico” (sentenza n. 84 del 1969), “cardine di democrazia nell’ordinamento generale” (sentenza n. 126 del 1985 e, di recente, sentenza n. 206 del 2019)».

In tale contesto, «la libertà di stampa assume un’importanza peculiare, in ragione del suo ruolo essenziale nel funzionamento del sistema democratico (sentenza n. 1 del 1981), nel quale al diritto del giornalista di informare corrisponde un correlativo “diritto all’informazione” dei cittadini: un diritto quest’ultimo “qualificato in riferimento ai princìpi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale”», e «caratterizzato dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie […] in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti».

Pertanto, l’attività giornalistica deve essere «“salvaguardata contro ogni minaccia o coartazione, diretta o indiretta” (sentenza n. 172 del 1972) tale da compromettere “la sua vitale funzione nel sistema democratico”, intesa come “cane da guardia della democrazia”» (CGCE, 27/03/1996, Goodwin c. Regno Unito).

Tuttavia, per altro verso, «il legittimo esercizio, da parte della stampa e degli altri media, della libertà di informare e di contribuire alla formazione della pubblica opinione richiede di essere bilanciato con altri interessi e diritti, parimenti di rango costituzionale, che ne segnano i possibili limiti, tanto nell’ottica costituzionale quanto in quella convenzionale». In primis, rileva «la reputazione della persona, che costituisce al tempo stesso un diritto inviolabile ai sensi dell’art. 2 Cost. (…) e una componente essenziale del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU (…) che lo Stato ha il preciso obbligo di tutelare anche nei rapporti interprivati».

Come più volte indicato dalla Corte EDU, la disciplina della libertà di manifestazione del pensiero, nel garantire un’adeguata tutela della reputazione delle persone, non deve però risultare talmente afflittiva da dissuadere i media dallo svolgimento delle proprie funzioni.

L’equilibrio tra libertà di informare e tutela della reputazione è difficile da raggiungere. Come efficacemente rilevato dalla Corte, «non può essere pensato come fisso o immutabile», soprattutto a fronte del rapido sviluppo delle tecnologie informatiche. È in virtù di tali considerazioni che, ritenuto necessario un nuovo bilanciamento tra siffatti interessi, la Corte invita il legislatore a una rimodulazione della normativa vigente. In grado di garantire adeguatamente, tenuto conto delle nuove forme di comunicazione e dell’uso spesso distorto dei social network, la libertà di manifestazione del pensiero e di informare da un lato e i diritti fondamentali della persona umana e, in particolare, la tutela della reputazione, dall’altro.

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