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Costume e Società

UE vs Polonia 2.0: il divieto di aborto.

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Il Parlamento Europeo condanna, nuovamente, la Polonia. Il divieto di aborto “mette a repentaglio la vita delle donne.” L’UE richiede di facilitare l’accesso ai servizi sanitari.

Sono settimane che in Polonia, decine di migliaia di manifestanti protestano per ricordare la trentenne incinta di 22 settimane morta. A causa di uno shock settico dopo che i medici, seguendo la legge restrittiva sull’interruzione di gravidanza in vigore dall’inizio di quest’anno, si sono rifiutati di praticare l’aborto, nonostante il feto fosse malformato.

Secondo quanto denunciato dai familiari e dalle ong per i diritti delle donne, la donna avrebbe potuto salvarsi con un intervento tempestivo dei sanitari. “I medici hanno atteso la morte del feto. Il feto è morto, la paziente è morta”, aveva scritto su Twitter l’avvocata della famiglia, secondo cui si tratterebbe della prima deceduta come conseguenza della nuova normativa. Due medici coinvolti sono stati sospesi e la procura ha aperto un’inchiesta.

Nessun’altra deve morire“, è stato uno degli slogan dei dimostranti, che hanno anche osservato un minuto di silenzio in memoria di Izabella, come è stata identificata dai media locali la parrucchiera morta il mese scorso a Pszczyna, nel sud della Polonia, lasciando una figlia di nove anni e il marito. Nella capitale Varsavia la manifestazione è iniziata sotto la sede della Corte costituzionale, che un anno fa ha emesso la controversa sentenza che vieta di eseguire in Polonia l’aborto anche nell’eventualità di malformazione dell’embrione, permettendolo solo in caso di stupro e incesto o di pericolo per la vita della donna.

Le parole del Parlamento Europeo.

Proprio sulla scia di queste proteste, anche il Parlamento Europeo  condanna la sentenza del Tribunale costituzionale polacco che impone un divieto pressoché assoluto all’aborto “mette a repentaglio la salute e la vita delle donne.”

L’Europa torna così a chiedere al governo di Varsavia, con una relazione approvata stamattina con 373 voti a favore, 124 contrari e 55 astenuti, di garantire pienamente l’accesso a servizi di aborto sicuri, legali e gratuiti alle donne. La relazione sottolinea che la sentenza sull’aborto e’ un ulteriore esempio «della politicizzazione della magistratura polacca e del collasso sistemico dello Stato di diritto in Polonia», e invita il Consiglio Ue ad affrontare la questione.

Nel testo gli eurodeputati chiedono che “non una donna di più in Polonia perda la vita a causa di questa legge”. Il Parlamento invita inoltre i Paesi Ue a cooperare più efficacemente per facilitare l’accesso transfrontaliero ai servizi abortivi. Ad esempio garantendo alle donne polacche l’accesso a un aborto gratuito e sicuro in altri sistemi sanitari nazionali.

La condanna europea non potrà essere che ulteriore fonte di lacerazioni tra i cattolici polacchi.

La Chiesa del paese che diede i natali a Papa Wojtyla è profondamente segnata dagli scandali relativi alla pedofilia, e da scontri di natura etica.

La Chiesa cattolica polacca.

Alcuni mesi fa l’arcivescovo Stanisław Gądecki aveva tuonato contro la risoluzione del Parlamento Europeo che aveva accolto il rapporto pro-aborto dell’europarlamentare croato Matić. Gadecki aveva definito l’iniziativa priva di alcuna forza giuridica e di confini etici. Aveva poi ricordato che ogni persona ha diritto alla vita.

“Questo documento riguarda”, aveva detto, “la salute sessuale e riproduttiva delle donne. Un linguaggio caratteristico dell’allevamento del bestiame piuttosto che dello sviluppo umano. È una risoluzione che ha superato tutti i confini etici esistenti. Perché per la prima volta in questo documento l’aborto è stato definito un diritto umano.”

L’irrigidimento relativo alla legge sull’aborto sta producendo conflitti intestini alla Chiesa.

Nel frattempo l’Iskk, Istituto di statistica della Chiesa cattolica polacca, ha evidenziato il trend di apostasia, soprattutto tra giovani. Appena il 9-9,2 percento dei giovani polacchi afferma di credere nella Chiesa o di averne un’opinione positiva in un Paese cattolico al 76 percento.

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