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Un mondo più giusto per tutti grazie ai giovani e agli attivisti.

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Come grazie all’impegno delle nuove generazioni è cambiata la nostra percezione delle cose.

Capire i giovani d’oggi può essere complicato e spesso si tende a pensare alle nuove generazioni come molto distanti dal proprio mondo. Dallo slang, all’uso dei Meme e delle Gif, la Generazione Z ha un linguaggio tutto suo.

Il primo elemento che li differenzia dalle generazioni passate, è l’uso della tecnologia. I ragazzi di oggi sono inseparabili dal proprio smartphone e passano circa 10 ore al giorno online. Ma quello che va precisato è che i più giovani non sono impegnati solo a vedere stories su Instagram o a fare challenge su TikTok, ma sono anche molto attivi per quello che riguarda i più attuali temi sociali.

Multiculturalità, inclusione, sostenibilità ambientale e parità dei diritti sono gli argomenti che la Gen Z sente più vicini. Basti pensare che il 90% dei giovanissimi sostiene il movimento Black Lives Matter e in particolare lo fa attraverso i social (utilizzando Instagram e TikTok). Anche i diritti della comunità LGBTQ+ e le lotte femministe sono tematiche molto sentite, elemento che testimonia la grande attenzione per l’uguaglianza e i diritti individuali.

Il linguaggio della Gen Z è ricco di modi di dire nati negli ultimi anni: queste espressioni spesso nascono sul web e vengono importate da altre parti del mondo, soprattutto da contenuti in lingua inglese, e mutuate dal linguaggio musicale o da quello dei videogame. Si va da Bae a Blast, passando per Cringe e altri ancora che formano una sorta di glossario della Generazione Z.

Gli Zoomer utilizzano molto anche gli elementi visuali per comunicare e per farlo in velocità e in modo ironico. Spesso le immagini vengono preferite ai testi, per una comunicazione più d’impatto ricca di Gif e di Meme divertenti e spensierati.

Dall’attivismo sociale al modo di esprimersi, dai social network alla musica, il mondo della Gen Z è ricco di sfaccettature e particolarità.

Le proteste per il clima.

Spesso chi protesta per il clima è tacciato di idealismo o di ingenua astrattezza. Ma le cose non stanno così, e per accorgersene basta partire da una banale constatazione: il cambiamento climatico è un’ingiustizia anzitutto per i più giovani.

Il motivo per cui sono i giovani a essere più preoccupati per la crisi climatica è – se volessimo trovare un sintesi cruda ma efficace – che saranno loro in prima persona a subirne le conseguenze. È una questione di tempi e di aspettative di vita: visto che i cambiamenti climatici hanno conseguenze che si misurano in decenni, chi oggi ha settanta o ottant’anni ha poche possibilità di vivere abbastanza a lungo da vedere coi propri occhi i danni causati dal riscaldamento globale. Al contrario chi oggi ha quindici, venti o trent’anni, dovrà sicuramente averci a che fare.

Le conseguenze del cambiamento climatico non sono soltanto ambientali. Un clima che cambia così rapidamente causa inondazioni, siccità ed eventi atmosferici estremi, ma di conseguenza anche migrazioni, carestie, instabilità politica e danni economici. Anche queste conseguenze non-ambientali ricadranno sui più giovani. Un esempio su tutti: la disoccupazione, come sappiamo, non è una piaga che affligge le persone in età pensionabile, ma chi un’occupazione la cerca e, soprattutto, chi entra per la prima volta nel mercato del lavoro: quindi proprio i più giovani. Insomma, quando parliamo di crisi climatica ci riferiamo anche a una questione di “giustizia intergenerazionale”.

Chiedere che ci sia una “giustizia” tra le diverse generazioni non riguarda solo il chi subirà le conseguenze del cambiamento climatico, ma anche l’assunzione di responsabilità di chi ha contribuito a causarlo, questo cambiamento.

Evidentemente parliamo di nuovo dei più anziani, visto che la responsabilità delle scelte industriali e politiche prese oggi e in passato non può essere di adolescenti e giovani, che non hanno mai ricoperto incarichi né votato o espresso preferenze. Quelle scelte, che hanno causato quel preciso inquinamento, sono state prese su mandato di un elettorato, soprattutto quello che oggi ha un’età più avanzata.

Per questo la grande preoccupazione dei più giovani per il cambiamento climatico non è solo altruista, ma è anche egoista. E’ una preoccupazione per sé stessi, oltre che per gli altri. E di conseguenza non dimostra solo un generico senso civico dei giovani e giovanissimi, ma anche una serie di richieste molto concrete che riguardano la loro vita e il loro futuro.

In questo senso chi oggi protesta per il clima tocca un tema concreto e pregno di conseguenze. Tanto quanto lo è, per esempio, quello del lavoro. Cioè un tema su cui si protesta da secoli, e che nessuno si sogna di tacciare di idealismo o di ingenua astrattezza.

La giustizia intergenerazionale, peraltro, non riguarda solamente il cambiamento climatico, ma tutte le decisioni politiche ed economiche con effetti a lungo termine.

Che conseguenze hanno le attuali politiche demografiche? A cosa porteranno, tra qualche decennio, le decisioni prese oggi sul fare debito? Sul rifinanziare Alitalia, sul decidere per quota 100, sulla viabilità o gli investimenti fatti sulla sanità? Sono domande che troppo spesso noi elettori non ci poniamo. E che di conseguenza non diventano i temi attorno a cui si fanno le campagne elettorali e, poi, i governi.

Se, anche grazie alle proteste per la crisi climatica, riuscissimo finalmente a guardare al futuro e non solo al presente, e a usare una prospettiva di lungo corso nel prendere decisioni, il problema della giustizia intergenerazionale sarebbe risolto. E a ben vedere potremmo sperare di risolvere anche quello del populismo, visto che pretenderemmo da candidati e dirigenti progetti credibili e pianificazioni realistiche, rispedendo al mittente bufale, soluzioni semplicistiche e vane promesse da arringapopoli.

Portare nelle istituzioni una nuova generazione di attiviste e attivisti. Togliere potere ai soliti noti per restituirlo a chi si spende per una politica radicale. Che abbia a cuore la giustizia sociale, affronti la l’emergenza climatica, combatta le discriminazioni.

Persone riconoscibili nelle loro battaglie e nelle loro comunità.

Margaret Atwood: “Saranno le nuove generazioni di attivisti per il clima a votare i potenti di domani”

Prendendo spunto dal suo impegno letterario e di attivismo, Atwood ci ha infatti tenuto a ricordare, in merito alla crisi climatica e alle disuguaglianze di genere e contro le popolazioni indigene, che “la rabbia può spronare a lottare contro le ingiustizie sociali, a patto che non diventi tossica. La strada per il progresso è costellata di andirivieni, di cambiamenti non sempre positivi, e richiede la partecipazione di tutti”.

Ha quindi suggerito di non abbassare la guardia né sul fronte ecologico (“Saranno queste nuove generazioni di attivisti a votare i potenti di domani”), né su quello politico. Con particolare riferimento all’attuale situazione delle donne in Afghanistan. Non sono mancate poi le riflessioni sulla pandemia. “I più colpiti nel loro bisogno di socializzazione sono stati i giovani, e proprio da loro secondo me arriveranno le narrazioni più potenti su quanto è accaduto”.

Attivismo giovanile

Negli ultimi anni, molti movimenti militanti sono stati guidati da giovani ragazzi e ragazze. Il caso più famoso è quello di Greta Thunberg. Che ha ispirato milioni di studenti in tutto il mondo a saltare la scuola al fine di spingere i leader politici ad agire per la tutela del clima. Come si giustifica questa tendenza?

“Credo che a essere cambiate siano istruzione e formazione. I giovani e le giovani d’oggi sono stati educati in un periodo in cui problemi come la sostenibilità, la crisi ambientale e il riscaldamento globale sono molto discussi nelle scuole”. Dice Jasmine Lorenzini, ricercatrice senior dell’Università di Ginevra (UNIGE).

Il più ampio accesso alle informazioni e l’aumento della consapevolezza in materia, abbinati a una sempre minore fiducia verso le istituzioni politiche, hanno creato un terreno fertile. Perché figure come Greta Thunberg potessero guadagnare visibilità e ispirare movimenti di livello globale, continua Lorenzini.

Uno studioLink esterno sul cosiddetto “effetto Greta Thunberg” ha rilevato che chi ha maggiore familiarità con le iniziative della giovane attivista svedese è più incline a credere di poter fare la differenza e a impegnarsi per proteggere l’ambiente.

In Svizzera, le proteste guidate dalla gioventù locale hanno risvegliato anche le generazioni più anziane. In parte, l’effetto può essere dovuto ai movimenti ambientalisti che hanno storicamente animato il paese, dice Lorenzini. Negli anni ’70 e ’80, per esempio, diversi gruppi ambientalisti e di opposizione al nucleare occuparono i siti delle future centrali nucleari elvetiche.

“Si sente spesso parlare di movimenti giovanili, termine corretto in quanto si tratta di movimenti organizzati dalla gioventù. Ma che può sembrare riduttivo se si considera chi alla fine scende in strada ad animare le proteste”.

Secondo Lorenzini, c’è il rischio che qualcuno sfrutti intenzionalmente i pregiudizi relativi a questi movimenti per minimizzarne l’impatto. Per dichiarare che non rispecchiano l’opinione dell’intera popolazione.

Eppure i giovani saranno coloro che, domani, saranno al potere ed è tempo che rivendichino il loro posto al tavolo dei “grandi”.

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