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Politica

Il Centrodestra e l’incapacità di fare autocritica

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articolo di Biagio Fusco

Chi aveva il mazzo di carte tra le mani evidentemente non le ha sapute dare.

Potrebbe apparire questa un’analisi superficiale, alquanto miope e fugace ma che, invero, offre spunti per riflettere su delle considerazioni alle quali bisogna pur riconoscere una indubitabile sostanza politica.

Ebbene, se si parte dall’assunto, che peraltro è un presupposto che trova conferma in dati storici, che il Centrodestra di oggi affonda le radici proprie nel lontano 1994, allorquando il Cavaliere con una brillante sintesi politica (o mediatica se si preferisce), rimescolata in una salsa retrò di demagogia e populismo (cfr. redivivi della I Repubblica), a Nord fonde Forza Italia e Lega nel Polo delle Libertà, al Sud Forza Italia ed Alleanza Nazionale nel Polo del Buongoverno, aprendo il varco a più di un ventennio che con ogni probabilità verrà simpaticamente ribattezzato dalla storiografia futura come l’epoca del “Berlusconismo”.

Chissà.

V’è da ricordare che comunque in questi ultimi decenni quelle formazioni politiche hanno avuto la forza di esprimere e far eleggere sindaci di grandi capoluoghi di regioni e provincie, presidenti di organi provinciali e regionali, ministri e via discorrendo, benchè abbiano mai saputo rivelati in grado di individuare tra le loro fila una personalità, uomo o donna, che potesse aspirare ad ascendere il Colle, in virtù di legittimo merito conquistato nel mondo delle professioni liberali, tra le sfere celesti della grande imprenditoria ovvero per comprovata e consumata esperienza tra le cariche istituzionali, sì da poter mettere insieme un cursus honorum e guadagnare il giusto lignaggio per ceto, per censo o per qualità.

Nulla di fatto.

L’intramontabile Silvio, quantunque riuscendo nell’intento nemmeno poi tanto celato di ingabbiare i propri alleati, a cominciare proprio da Salvini, relegandoli in un angolo grazie al possesso dei soliti agognati numeri della politica, è stato costretto al passo di lato in nome della superiore e sacrosanta stabilità dell’Italia, cioè quella dei palazzi del potere dove sono accomodate le poltrone.

C’è da domandarsi come mai sia accaduto tutto ciò?

Qualcuno malignamente ha obiettato, forse non sbagliando, che il Centrodestra ha sempre guardato ad una certa area di pertinenza della società civile, e con specifico riguardo ad un determinato segmento della classe dirigente, ove non sarebbero reperibili individualità di rilievo e spessore, anche perché ha preferito popolare i propri ranghi con i profughi, reduci e derelitti della I Repubblica, rimettendoli nel vizioso e vorticoso circuito che alimenta la girandola dei nomi spendibili in politica, piuttosto che darsi una veste rinnovata dalla valorizzazione di volti nuovi e slegati dalle logiche partitocratiche.

Oggi il Centrodestra paga il dazio a questo triste e desolante retaggio, che lo incatena purtroppo ai pesi e contrappesi esercitati dai personalismi di turno, i quali appaiono stucchevoli, esasperatamente autoriferiti ma comunque longevi.

Solo un’amara considerazione è possibile in tale contesto; la politica sembra quasi fortificare, rinvigorire, rinsaldare la mediocrità all’insegna dell’equilibrio delle forze schierate in campo, svalutando impietosamente il merito.

Ma allora perché discutere di sintesi, quale sintesi?

In fondo, però, non si governa negli enti locali senza indicare gli amministratori, le cui responsabilità – è ovvio – crescono con l’esperienza, dal momento che, a quanto appare amministrazione e politica sembrano avere percorsi paralleli o talora intersecanti. Per arrivare all’apice delle cariche della politica nazionale occorre più dimostrare di possedere un’attitudine maggiore rispetto ad altri nell’intercettare il malessere di una categoria sociale, ovvero sciorinare (o millantare) la riconoscibilità a livello televisivo, che non l’essere stati buoni amministratori.

I partiti del centrodestra non hanno creato le giuste condizioni ambientali, affinchè potesse germogliare un ceto politico autoprodotto.

La linea sovranista, premiante sotto il profilo elettorale, ha fatto il resto, suggerendo probabilmente a molti accademici, professionisti o imprenditori di dissociarsi ed allontanarsi da questa area di pensiero. Non si tratta tanto di affrontare e dirimere un tema culturale, il corto circuito è senz’altro evidenziato ed enfatizzato da una questione di approccio tra partito di centrodestra e società civile. In altri termini, tutti sono disposti ad offrire loro i consensi ma non ad esporsi con la costanza di un impegno che porti ad una maturazione di convinta appartenenza.

É il momento di fare mea culpa, di ammettere positivamente il proprio talento nell’aggregare gruppi sociali di riferimento, interagirvi ed ascoltarli, senza dimenticare però di riconoscere negativamente il limite nel prospettare loro un’idea futura, un principio, una visone distintiva di Nazione europeista. Il risultato è già scritto, una miserevole politica fatta di “ mestatori ” che non incide sugli apparati statali e non sa dare un indirizzo.

È come se per il Centrodestra il tempo fosse fermo al 1994.

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