Connect with us

la settimana tv

La lotta per la cittadinanza di Irene

Published

on

Questa è la storia di Irene Ogiede, 25 anni e residente a Verona. Con l’elezione del nuovo segretario del Pd, Enrico Letta, è tornato in auge il dibattito sullo Ius soli e Ius culturae. Per far capire bene il quadro della situazione, manca un retroscena. Vi è la frustrazione e il senso di smarrimento di tante persone che, come lei, vivono nell’angoscia di non poter far riconoscere i propri diritti.

La madre di Irene, Joyce, arrivò in Italia nel 1989 con l’intenzione di esercitare la professione di insegnante d’inglese. Non potendo permettersi di affrontare le spese per riconoscere il titolo di laurea conseguito in Nigeria, dovette accontentarsi di un lavoro qualunque.

La violenza domestica

Nel 1992 nacque la sorella di Irene, Franca, e l’anno successivo, la madre decise di sposarsi nel comune veneto in cui tuttora risiedono. Irene nacque nel 1996. La situazione familiare di lì a poco degenerò. Il padre compì aggressioni fisiche e verbali nei confronti della madre. Quando Irene era ancora in fasce, il padre decise di abbandonare il tetto coniugale, lasciando la famiglia sul lastrico.

La violenza dell’uomo non si fermò neanche in seguito alla sua dipartita. Tornato a casa per aggredire nuovamente la moglie, la donna si vede costretta a rifugiarsi in casa di amici con le due bambine. Quando dovrà tornare al Paese d’origine per un’emergenza familiare, Irene e Franca resteranno con gli amici ospitanti.

Il padre venne a sapere della partenza di Joyce. Sfruttando l’occasione della sua assenza, un giorno si presentò all’uscita di scuola per prendere Franca. Quando gli affidatari non la trovarono, denunciarono immediatamente la sua scomparsa ai carabinieri. L’Arma non potè contestare la patria potestà, ma avvisò l’uomo che sarebbe stato sotto stretta sorveglianza, e che avrebbe dovuto onorare le sue responsabilità di padre.

Ovviamente a poco servirono le parole degli agenti, anzi: il padre di Irene chiuse il contratto con la casa popolare dove vivevano. Ciò creò il loro più grande problema burocratico: la Discontinuità di residenza. Successivamente il padre rapì Franca, portandola con sé in Nigeria senza lasciare tracce.

Gli amici di famiglia, venuti al corrente delle ripetute assenze a scuola di Franca, vennero a scoprire quanto accaduto in quegli ultimi giorni e avvisarono tempestivamente la madre. Joyce fu in grado di rintracciare la figlia e, dopo diversi mesi di contrattazioni, Franca poté ritornare finalmente dalla madre e la sorella, deperita, inerme e confusa.

I primi tentativi per ottenere la cittadinanza

Joyce, tornata dalla Nigeria, fece ricorso e poté così riottenere la casa. Franca riprese gli studi e di lì a poco anche Irene. La sua assenza non comportò la cancellazione dai registri scolastici; fu solo costretta a ripetere l’anno. Il comune, ormai a conoscenza della situazione familiare, cominciò ad inviare degli assistenti sociali. La madre riuscì a dimostrare di potersi prendere amorevolmente cura delle ragazze, pertanto la vigilanza cessò.

All’età di diciassette anni e mezzo Franca cominciò la pratica di naturalizzazione. Successivamente, venne chiamata a firmare la richiesta, e le venne detto di attendere il giorno del giuramento e il rilascio della cittadinanza. La chiamarono poi per ulteriori approfondimenti e dissero che era emersa una discontinuità di residenza, e che per questo motivo la sua richiesta era stata sospesa. La famiglia cercò di fare ricorso ma, purtroppo, non gli fu consentito di riaprire il caso.

Quattro anni più tardi, sulla soglia dei diciott’anni, Irene chiese la cittadinanza per meriti sportivi. Era stata convocata a partecipare agli allenamenti della staffetta che si stava preparando in vista dei campionati mondiali di Atletica Leggera di categoria juniores, gara che si sarebbe svolta a Eugene, Oregon, nel 2015. Con tale lettera si presentò in comune domandando la naturalizzazione italiana, col fine di poter partecipare a quell’appuntamento tanto ambito.

Con i brillanti risultati sportivi e la lettera, richiese in Comune l’avvio della pratica, essendo al tempo atleta di potenziale interesse nazionale. Ma venne respinta, in quanto anche alla sorella era stata negata a causa della suddetta discontinuità di residenza. Gli fu detto che l’unica soluzione era quella di lavorare tre anni, produrre 8.000 € di reddito all’anno, fare richiesta ed attendere risposta da Roma, tutto ciò per un totale di cinque anni di attesa. E così fecero. Le sorelle cominciarono immediatamente a lavorare, mentre studiavano e si prendevano cura della madre che, purtroppo, in quegli anni fece un incidente quasi fatale.

Arrivate alla stima prevista ed in procinto di avviare la richiesta nel 2018, cominciarono a raccogliere la documentazione per presentare domanda. Purtroppo arrivò il decreto Sicurezza di Salvini che cambiò i requisiti, portando le soglie a 11.000 euro annui e allungando le tempistiche da due anni di attesa a quattro, per un totale di sette anni. Pertanto, non rientrando più in tali soglie, dovettero ricominciare da capo.

L’ennesimo sogno infranto

Al rientro dal suo scambio culturale negli Stati Uniti, poco meno di cinque mesi fa, Irene ha fatto domanda per accedere alla facoltà di Fisioterapia a Barcellona; nel frattempo la sorella stava avviando le pratiche per la richiesta di cittadinanza. Irene ha ottenuto un posto di assegnazione, e ha cominciato a preparare la documentazione necessaria per poter studiare in Spagna.

Purtroppo anche questo sogno è stato infranto: per poter studiare sul suolo spagnolo per i quattro anni previsti dal corso di studi, avrebbe douto rinunciare al permesso di soggiorno italiano a tempo illimitato, in cambio di una richiesta di residenza che condurrebbe al rilascio di un “permesso di soggiorno per studi” temporaneo, della validità di un anno. Ovviamente ciò comporterebbe anche la rinuncia alla cittadinanza italiana per residenza, e quindi ad anni di lotte e sacrifici vanificati.

L’alternativa sarebbe richiedere un visto studentesco che dimostri che abbia la liquidità necessaria a sostenersi nei prossimi anni, quota che attualmente non raggiunge. Irene dichiara:

“Vorrei poter avere la possibilità di guadagnare lavorando durante i miei studi, esattamente come possono permettersi di fare i miei compagni europei a cui tali richieste di visto e requisiti non vengono fatte. Vorrei poter fare domanda di borsa di studio per studiare all’estero, ma purtroppo non essendo ancora italiana non posso fare nulla, nonostante soddisfi tutti gli altri requisiti”.

“Ad oggi mia sorella ha compiuto 29 anni ed io 25. Abbiamo finalmente tutti i requisiti per poter richiedere alla cittadinanza ma ci si prospettano altri 3-4 anni di attesa prima della naturalizzazione. Ciò comporta che a 32 anni lei ed a 28 anni io, sempre che le leggi non cambino di nuovo, riusciremo finalmente ad essere riconosciute italiane anche a livello legale.

Ora mi domando come sia possibile che per avere questo diritto avremo dovuto attendere 14 anni Franca e 10 anni io?! Mi chiedo come sia possibile che, nonostante io e mia sorella ed orami anche mia madre, Joyce, parliamo, pensiamo, gesticoliamo in italiano, ancora siamo considerate straniere. Ero ad un passo dal rappresentare l’Italia a livello mondiale. Amo il mio Paese seppur sia consapevole che non sono voluta. Abbiamo studiato, lavorato, pagato tasse e siamo state buone cittadine. È con grande sdegno e tanta rabbia che io e la mia famiglia supplichiamo aiuto. Non vogliamo più aspettare per poi ricevere l’ennesima porta in faccia. Vogliamo riconosciuti i nostri diritti. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile.

Vi preghiamo di darci una voce perché per troppo tempo ci è stato negato quello che crediamo sia di nostro diritto. Vi preghiamo di aiutarci a darci voce”.

Continue Reading
Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Direttore responsabile: Maurizio Cerbone Registrazione al Tribunale di Napoli n.80 del 2009 Editore: Komunitas S.r.l.s. - P.IVA 08189981213 ROC N° 26156 del 25 gennaio 2016