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Cultura

Di fiori e violenza: “La Vegetariana” di Han Kang è un libro atroce e bellissimo – recensione

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“Era esausto, e la vita lo disgustava. Non ce la faceva a far fronte a tutte le cose che contaminava.”

La protagonista di questo romanzo un giorno decide di non mangiare più carne.

Ho fatto un sogno”, dice al marito, cercando di spiegare il motivo di quella scelta improvvisa; “Ho fatto un sogno” dice ai genitori e alla sorella, mentre cercano di obbligarla a mangiare un boccone di carne. Yeong-hyedi cui, pur essendo il personaggio principale intorno cui è imperniata la storia, non sperimentiamo mai direttamente il punto di vista – ha una visione, un’illuminazione oscura e totale che sembra essere quasi incapace di spiegare con le parole e che la condurrà progressivamente verso un abisso di ossessioni, follia e morte.

La Vegetariana” è un libro crudele, sincero e spietato che attraverso tre punti di vista diversi parla della violenza intrinseca della vita umana e del desiderio di rinunciarvi. Tra sangue e carne, fiori umani e morbosità, questo romanzo breve di Han Kang è bellissimo e atroce, proprio come una vita che merita di essere letta e capita.

La Vegetariana: una storia violenta di violenza

Il romanzo è diviso in tre parti, ciascuna delle quali racconta di Yeong-hye in un momento diverso della sua trasformazione e da un punto di vista differente.

Nella prima, intitolata proprio “La vegetariana”, a raccontare la storia è il marito della protagonista, un uomo arido e inconsapevolmente crudele che non l’ha mai amata davvero. Han Kang ha affidato proprio a lui e alla sua voce ottusa il compito di raccontarci del momento in cui Yeong-hye si è spezzata e in cui ha deciso di non mangiare più carne: dalle parole di quest’uomo mediocre, che affronta il dolore e l’inizio della discesa verso la follia della moglie esclusivamente come una seccatura, riusciamo comunque a carpire qualcosa della protagonista e della sua disperazione.

Quella del marito è la voce più distante da quella di Yeong-hye, quella meglio inserita nel mondo e nella società – e non è un caso che sia la prima a esserci presentata – una voce che racconta di violenza e violenze senza nemmeno rendersene conto. Sicuramente è il punto di vista più normale del romanzo, quello della persona più comune tra quelle di cui si racconta e che, proprio per questo, è la più mostruosa e la più dolorosa da leggere: il marito di Yeong-hye incarna perfettamente la violenza della vita a cui la donna tenta ferocemente di sottrarsi rinunciando alla carne prima e al proprio corpo poi, un male banale ma non per questo meno atroce e terribile.

Donne, uomini, carne e fiori

La parte centrale della storia, forse la più bella, intitolata “La macchia mongolica”, è raccontata invece dal marito della sorella di Yeong-hye, un artista.

Se non fossero inserite proprio all’interno di questa storia, le azioni dell’uomo – comunque ambigue e sempre in bilico sul filo dell’immoralità – sarebbero giudicate come sbagliate o per lo meno egoiste dalla maggior parte dei lettori, ma, in questo romanzo, conducendo verso il fondo dell’abisso Yeong-hye, l’artista diventa nella narrazione quasi una figura salvifica.

“Quell’inspiegabile serenità lo atterrì: gli fece nascere il sospetto che si trattasse solo di un’impressione, quel che era rimasto in superficie dopo che un’enorme quantità di inenarrabile violenza era stata assimilata o si era depositata dentro di lei come un sedimento.”

Si tratta forse dell’unica persona che – a un livello però non razionale, non cosciente – riesce a comprendere l’animo di Yeong-hye e lo fa anche lui attraverso una visione che poi trasformerà in arte. Ma più si avvicina alla protagonista più si allontana dalla società – da cui invero era già abbastanza distante – e soprattutto dai suoi affetti: incompreso come Yeong-hye, grazie alla sua ossessione, al suo pennello e alle sue riprese, contaminandola con i suoi colori e trasformandola in altro da sé, in un fiore colorato, la sottrae per qualche istante alla sua essenza umana e quindi alla violenza della vita.

“Perchè, è così terribile morire?”

L’ultima parte della storia è affidata infine a In-hye, la sorella della protagonista.

Sebbene all’apparenza la donna possa sembrare distante da Yeong-hye come il marito, in realtà le è più vicina di chiunque altro, anche dell’artista. Le due donne condividono infatti la stessa infanzia, lo stesso terreno nel quale le ossessioni di Yeong-hye sono cresciute fino a trasformarsi in ossessioni prima e in malattia mentale poi.

In-hye ci mostra il seme della follia di Yeong-hye e attraverso il contrasto con la propria vita, perfettamente aderente ai modelli di sanità mentale e produttività richiesti e apprezzati dalla società, trasforma paradossalmente la follia della sorella in qualcosa di comprensibile e sano, in qualcosa di sicuramente più giusto della violenza che in una certa misura siamo tutti costretti a sperimentare in questa vita che siamo tutti chiamati a subire.

Se questa è l’esistenza, si chiede l’autrice tra le righe del libro, mentre i suoi personaggi si affamano, stuprano e si trasformano in fiori, mentre cercano di sciogliersi in pioggia nella foresta e si ostinano a vivere, sarebbe così terribile morire?

La Vegetariana

La Vegetariana” è un libro bellissimo che, in poche pagine intense, parla di dolore e piacere, di vita e morte mostrandoci quanto la vita sia sempre crudele. Tutto il romanzo è un cupio dissolvi disperato e feroce che trasforma la follia in una comprensibile e lucida rassegnazione.

“Il tempo era un’onda quasi crudele nella sua inesorabilità mentre trascinava la sua vita con sé.”

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