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1 anno agoon
Avevano la bocca solo per tenerla chiusa.
Punacci, storia di una capra nera – scritto dall’autore indiano Perumal Murugan e pubblicato in Italia da Utopia – è una favola scura come la sua protagonista, il racconto di un’umanità arida, piegata dal bisogno e dalla paura, ubriaca di potere e violenza.
Che senso ha nascere e vivere in un mondo così crudele? La capretta, nel corso della sua vita, se lo chiederà molte volte, ma non troverà mai una risposta – farlo è un compito che spetta al lettore. Enigmatico, desolante e misterioso, questo romanzo è tanto breve quanto doloroso.
Un anziano allevatore riceve, un giorno, una capretta nera nata da poco da uno sconosciuto misterioso che sembra apparso dal nulla. Possibile che fosse una divinità sotto mentite spoglie? L’anziano ne è convinto e per questo porta l’animale a casa.
La moglie, che l’accoglie tra mille proteste, alla fine si affeziona alla cucciola. Punacci – questo il nome che hanno scelto di darle – comprende sin da subito che la sua sarà una vita complicata. Pur essendo, da una parte, una privilegiata (i due signori anziani la trattano molto meglio delle altre capre, convinti che sia un dono divino) dall’altra si ritrova a essere rifiutata da tutti i suoi simili: prima le capre adulte si rifiutano di darle del latte e quasi muore di fame, poi gli altri cuccioli iniziano a maltrattarla.
Ma il tempo passa, Punacci nonostante tutto riesce a crescere, ma anche se i rapporti con gli altri cuccioli migliorano ben presto scopre la realtà crudele del mondo che la circonda: tra violenza, malattie, maltrattamenti, stupri e morti terribili e insensati, Punacci attraversa la sua vita sperimentando paura, ribellione, odio e amore, chiedendosi se ne valga la pena e mostrandoci un’umanità gretta, ottusa e vendicativa.
Punacci pensò che tutto l’amore che le avevano dimostrato si riducesse, in fin dei conti, alla lunghezza di quella corda.
Non ci sono raggi di sole a rischiarare questa storia. Punacci sperimenta degli istanti felici – una passeggiata notturna, un breve e intenso amore – ma la maggior parte della sua vita è fatta di stenti, violenza e tristezza. Alla capretta non è risparmiato nessun orrore e, attraverso i suoi occhi, il lettore vede in tutta chiarezza la crudeltà dell’uomo e l’arbitrarietà dei suoi valori, l’idiozia di una burocrazia sospettosa e l’orrore che si nasconde dietro il velo della tradizione.
Quella che ci consegna l’autore è una visione esclusivamente cupa dell’umanità, dove ogni gesto d’amore viene compiuto soltanto perché ci si aspetta in cambio qualcosa e dove la vita perde ogni senso. Mentre leggiamo delle disavventure di Punacci, l’unico sentimento che proviamo è disperazione – per lei, per gli altri animali e anche per noi, condannati alle tenebre di un’esistenza senza stelle.
I miracoli accadono raramente e, se accadono spesso, diventano la normalità.
Il romanzo si conclude con un finale enigmatico che ci costringe a chiederci quanto di quello che abbiamo letto sia reale e che aggiunge una scintilla di magia e mistero a quella che altrimenti sarebbe stata la verosimile tragedia vissuta da un animale da fattoria.
Al termine della lettura si resta sospesi, colmi di orrore e immobili. Cosa resta della vita di Punacci, del suo dolore e del suo amore? Sfruttata, violentata, affamata, il valore della vita della capretta è stato considerato da chi le stava accanto non superiore a quella di una pietra – ridotta a oggetto, a cosa da sfruttare, Punacci si trasforma in ciò che gli altri hanno visto in lei, lasciandoci con l’amaro in bocca e il veleno nel cuore.
1. Tradotto dal Tamil, questo romanzo offre uno sguardo senza filtri sul mondo rurale indiano;
2. chi ha a cuore il benessere degli animali non potrà fare a meno di sentirsi trascinato dalla storia della capretta;
3. Punacci, storia di una capra nera è una storia che non cerca di indorare la pillola in nessun modo e che racconta una storia cruda e piena di orrori. Se cercate qualcosa di forte, questo romanzo è ciò che fa per voi.
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