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Cultura

Una stanza piena di gente: la vera storia delle personalità di Billy Millingan

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Una stanza piena di gente è la storia vera di Billy Millingan, un uomo il cui caso ha fatto parlare l’America per decenni. La psiche di Billy è divisa in molteplici personalità, che porta con sé fin dai primi anni della sua infanzia, violenta e traumatica. L’uomo cresce inconsapevole del suo disturbo dissociativo, trovandosi spesso in vuoti di tempo e memoria. Sarà solo dopo un lungo percorso di riabilitazione psichiatrica che finalmente Billy riuscirà ad aprirsi, ripercorrendo le sue più vite con l’aiuto dell’autore, lo psicologo Daniel Keyes.

Il primo incontro tra i due avvenne al Mental Center di Athens, in Ohio, dove il ventitreenne Billy Millingan era stato ricoverato in seguito alla disposizione del tribunale. Dopo altri reati commessi negli anni precedenti, nel 1977 fu accusato di aver rapito, stuprato e minacciato tre studentesse ospiti del campus della Ohio State University. Il caso divenne di interesse internazionale alla sentenza della corte che, anche di fronte alle evidenze dei gravi crimini commessi, per la prima volta nella storia degli States dichiarò l’imputato non colpevole per ragioni di infermità mentale.

Le 24 personalità di Billy

«Ci troviamo in una stanza buia. In mezzo a questa stanza, sul pavimento, c’è una chiazza di luce. Chiunque faccia un passo dentro la luce esce sul posto, ed è fuori nel mondo reale, e possiede la coscienza. Questa è la persona che gli altri – quelli fuori – vedono e sentono e a cui reagiscono. Gli altri possono continuare a fare le solite cose, studiare, dormire, parlare o giocare. Ma chi è fuori, chiunque sia, deve fare molta attenzione a non rivelare l’esistenza degli altri. È un segreto di famiglia»

Così Billy Millingan parla della ‘gente’ che alberga dentro la sua mente, e che è riuscito a individuare solo dopo anni di terapia psichiatrica. Le personalità sono 24 in totale, le cui due dominanti sono Arthur, 22enne londinese che conosce perfettamente l’arabo, e Ragen, 23enne jugoslavo detto “il guardiano della rabbia”, un uomo violento addetto a proteggere le altre personalità. Dieci persone emergono in Billy sin dai primi interrogatori, ma col tempo se ne riveleranno altre quattordici, “gli indesiderabili”, che l’uomo respinge ma non riesce del tutto a controllare. Una personalità in particolare, Il Maestro, racchiude la memoria e i ricordi di tutte le altre, e sarà il principale informatore di Daniel Keyes per ricostruire cronologicamente le vicende dei 24 Billy.

“Noi, io, sono un mostro, un disadattato, un errore biologico. Tutti noi odiamo questo posto, eppure è a questo posto che apparteniamo… Chiudendo la porta sul mondo reale, potremmo vivere in pace nel nostro. Sappiamo che un mondo senza dolore è un mondo senza sentimento… ma un mondo senza sentimento è un mondo senza dolore”

Commento

Una stanza piena di gente è un racconto struggente, contorto, segnante. La storia di Billy Millingan entra nell’animo del lettore soprattutto nella seconda parte della non-fiction, quando Daniel Keyes racconta le torture e le violenze sessuali subite durante l’infanzia. È necessaria una forte umanità per provare empatia nei confronti di Billy, un uomo che ha commesso reati gravissimi, dispensando dolore a chiunque gli si avvicinasse, ma che è stato la prima vera vittima di sé stesso.

«Adesso mi rendo conto […] che quando la polizia venne a prendermi a Channigway, in realtà non sono stato arrestato. Sono stato salvato. Mi dispiace che delle persone abbiano dovuto soffrire prima che ciò accadesse, ma mi sento come se dopo ventidue anni alla fine Dio avesse deciso di sorridermi.»

L’autore riesce a rendere scorrevole e appassionante una storia complicata, fatta di tribunali, sentenze e attenzione mediatica, uniti a un’incommensurabile sofferenza. Il lettore resta con il fiato sospeso, scorrendo le pagine sempre più veloce, impaziente di capire le motivazioni di un disturbo così invalidante. E alla fine, quando inevitabilmente si rende conto dell’iniquità che può risiedere anche nelle persone più comuni, si rende conto che la malvagità non sta nella malattia, ma nell’abuso che l’ha fatta nascere.

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