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Cinema

“E’ stata la mano di Dio”: ecco perché il film non ci ha convinto fino in fondo

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“E’ stata la mano di Dio”: film che è entrato nella shortlist dei 15 migliori film internazionali annunciata dall’Academy, è il film più personale, più doloroso (come l’ha definito l’autore stesso) di Paolo Sorrentino.

E’ il suo film più personale perché attraverso esso il regista, interpretato da FIlippo Scotti, ci ha raccontato la propria adolescenza nella Napoli degli anni Ottanta, contraddistinta dai goal di Maradona e dai componenti della sua famiglia.

Tra loro, interpretati da Toni Servillo e Teresa Saponangelo, i genitori del futuro regista premio Oscar morti all’improvviso per avvelenamento da monossido di carbonio a causa di una fuga di gas nella casa di villeggiatura a Roccaraso della famiglia: l’adolescente Paolo riuscì a salvarsi perché quel giorno scelse di non seguire i genitori, ma di andare a vedere Maradona che giocava a Empoli in trasferta con il Napoli.

Altro personaggio di spicco è sicuramente zia Patrizia, interpretata da una Luisa Ranieri davvero da applausi: durante il film il protagonista stesso la indicherà come sua musa per le sue prossime opere.

Ad aprire il film, l’interpretazione di Enzo De Caro nei panni di San Gennaro che spiega a zia Patrizia che avrebbe potuto avere figli.

E’ qui che il film rischia di confondere troppo la realtà con la fantasia: ricordiamo che si tratta dell’autobiografia dell’autore e dunque questa scena iniziale, così come le varie apparizioni del “munaciello” possono confondere lo spettatore, disorientarlo.

Sicché, in più punti del film , la realtà stride con la fantasia e lo spettatore ne viene travolto.

Non è l’unico fattore a travolgere chi guarda.

Se è pur vero che attraverso questo film il regista ha voluto mettere in scena il suo dolore, ebbene quest’ultimo pare essere l’unica chiave di lettura del film, il senso più profondo, l’ultima risposta.

Si tratta dell’autobiografia di un regista che, si, è contraddistinta da dolori, ma pur sempre è un regista che ha fatto di quel dolore un suo punto di forza, il punto da cui partire, ciò che con molta probabilità gli ha permesso di diventare grande.

Nel film, invece, il dolore avvilisce Fabietto, lo allontana dal mondo, dalla realtà ed è l’unico sentimento portato in scena. E la rabbia? La voglia di rivincita?

Pare che Fabietto non sia riuscito ad incarnare in tutto e per tutto lo stoico Sorrentino, regista la cui forte personalità gli ha permesso di emergere.

Il finale resta sospeso, difficile da decifrare: un finale che forse non riesce a far intuire allo spettatore quale sarà il destino di quel giovane grande regista.

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