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Diritto

Il fine-vita volontario assistito e la politica

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articolo di Biagio Fusco

Inserito all’ordine del giorno delle discussioni programmate in queste ore in aula alla Camera emerge, in tutta la propria gigantesca interezza ed intrinseca complessità, un altro tema scottante, che – per così dire – non è possibile scomporre nella sua trattazione poiché richiede di essere affrontato in modo unitario, al quale però pur bisogna frontalmente guardare, senza retaggi e riserve di alcuna sorta, se si vuole (come qualcuno sostiene) che la nostra Italia possa dirsi finalmente governata da una democrazia compiuta, giusta e civile. Intendo riferirmi ad una vicenda umana, qualificata talora come “eutanasia lecita”, talaltra come “suicidio medicalmente assistito”, addirittura in certi contesti internazionali come “fine – vita volontario ed assistito”.

A ben vedere, la terminologia sembra semplicisticamente alludere ad un nomen iuris, che, quasi a volerlo racchiudere in una asettica formula scientifica, ne sintetizza un atto volontario (è comunque tale!), ma che chiaramente non ne muta la sostanza del contenuto.

La criticità del fine-vita

La criticità ha origine senz’altro nella pluralità e difficile conciliabilità dei profili etico – morali, religiosi, culturali e di costume sociale, politici e giuridico ermeneutici, che la problematica inevitabilmente involge, richiamando una sensibilità sociale che si estende dalla comunità nazionale alle istituzioni laiche e religiose, dai movimenti, associazioni e fondazioni, più o meno ispirate politicamente, fino agli esperti di diritto, questi ultimi impegnati a discutere intorno alle possibilità di approdare ad una interpretazione estensiva, evolutiva ed orientata di norme, principi e precetti costituzionali dettati in materia di libertà personali.

Sulla scorta di tali premesse logiche e presupposti di metodo, dai quali non è possibile divincolarsi facilmente, non senza incorrere nel rischio di lasciarsi andare a fuorvianti visioni, che spesso indebitamente si attribuiscono il pregio della esaustività, si preannuncia un percorso camerale irto di dottrinali ostacoli e disseminato di insidie ostruzionistiche, non sta a me dire se e quanto consapevoli della delicatezza della circostanza attuale, che va letta nell’ottica e con l’aiuto di un grande sforzo prospettico.

Insomma, la questione è seria ed il passaggio dalla teoria alla pratica non è poi così tanto scontato.

Il ruolo del Legislatore

Al Legislatore non tocca meramente l’onere di colmare un vuoto normativo, una vacatio legis rispetto ad una serie di “ casi ” che anelano ad una coerente disciplina giuridica, considerato che essi ormai si impiantano all’esame del Parlamento, stimolato dalla politica ad assumere una posizione responsabile sull’argomento, poiché stavolta è la società civile che gli inoltra istanza di progresso culturale che non arretri l’Italia, per via di un modo di pensare poco maturo ed evoluto, fino a collocarla ai soliti ultimi posti delle graduatorie europee.

L’auspicio è che il Parlamento non ricorra allo scrutinio segreto nella votazione sull’approvazione del testo di legge sul “ fine – vita volontario ”, il cui esito potrebbe nascondere non prevedibili incognite, così come è accaduto alla sorte del D.D.L. Zan, il quale avrebbe introdotto nell’ordinamento misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per sesso, genere o disabilità.

A che punto siamo?

Lo stato di avanzamento dei lavori parlamentari attualmente in itinere conosce una fase che si ferma ad un dialogo serio, allargato a tutte le forze politiche alle quali si chiede un’ampia condivisione dal momento che il Paese intero attende questo gesto di civiltà, quantunque la proposta legislativa, scaturente da un’idea del centro – sinistra, abbia incontrato in sede di commissione la ferma opposizione del centro – destra.

Ad ogni buon conto, bisogna procedere al di là di emendamenti, ritenuti più o meno indispensabili, tenuto conto che la Consulta ha indirizzato il Legislatore già nel 2018 nella direzione di un varo imminente di un testo di legge che dia all’interno di un quadro organico ed orientato di norme giuridiche finalmente una sistemazione normativa al suicidio assistito.

La Corte Costituzionale è intervenuta nuovamente nel 2019, consegnando questa volta al Parlamento un’autentica stella polare, da seguire nell’obiettivo di tracciare l’itinerario ed il percorso della discussione in aula, che rigorosamente dovrà attenersi a quattro tipologie di limiti, individuati a guisa di invalicabili e solidi pilastri sui quali verrà edificata la futura legge: il paziente dovrà essere in grado di intendere e volere; dovrà essere affetto da una malattia non reversibile; dovrà avere sofferenze psichiche o fisiche non sopportabili; dovrà dipendere da presidi vitali.

Il tempo giusto

Assimilato l’insegnamento emerso dalla sentenza sul caso “ dj Fabo – Cappato ”, il centro – destra deposita un emendamento testuale che prevede la possibilità per il personale sanitario di fare obiezione di coscienza, insistendo per una ulteriore previsione che includa la tipizzazione di un quinto requisito, elaborato e desunto in aggiunta ai quattro ipotizzati dal Giudice delle Leggi, ovvero “l’imminente pericolo di morte del paziente che chiede il suicidio assistito; inoltre che non basti la sofferenza psichica ma che sia presente anche quella fisica”, con ciò non trascurando di esporsi ad un discostamento delle indicazioni emerse dalla sentenza della Corte Costituzionale.

Per fortuna il dibattito è aperto. Confidiamo conduca ad una legge, secondo gli italiani ne è giunta l’ora (e non perché ce lo dice l’Europa).

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