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Diritto

Gli Stati membri dell’UE devono riconoscere i figli delle famiglie arcobaleno.

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I diritti dei figli delle coppie omosessuali sono validi in tutti gli Stati dell’Unione Europea: sentenza storica quella della Corte di giustizia europea.

Una sentenza storica ha sancito, nel caso di due donne, sposate in Spagna nel 2018, che chiedevano alla Bulgaria i documenti d’identità per la loro figlia nata in Spagna nel 2019, che i bambini delle famiglie arcobaleno debbano poter godere di tutti i diritti garantiti per i cittadini dell’Unione.

Un certificato di nascita in cui si attesti il legame di filiazione di un bambino con due genitori gay rilasciato da un Paese membro dell’Unione europea deve essere quindi accettato da tutti gli altri come documento valido. Non solo per permettere al minore di viaggiare liberamente con chi ha l’autorità parentale, ma anche nel caso in cui il minore nato all’estero richieda un passaporto o una carta d’identità nello Stato di cui è cittadino.

Un padre e una madre, due padri, due madri. Quello che conta, per i figli e le figlie, è l’amore e la possibilità di una famiglia.

È partendo da questo principio che la Corte di giustizia dell’UE ha fatto un passo avanti ‘storico’. Un passo storico nel riconoscere l’uguaglianza dei diritti per le famiglie arcobaleno.

I figli di coppie omosessuali devono avere una carta d’identità o un passaporto dello Stato di cui sono cittadini. Devono poter liberamente circolare nel territorio dell’Unione Europea ed essere accompagnati da quelli che sono indicati come i suoi genitori in base all’atto di nascita. Anche se questo è stato rilasciato da Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza uno dei due e il bambino stesso. Insomma devono avere un documento che permetta loro l’esercizio dei diritti riconosciuti a livello comunitario.

La sentenza sulla causa C-490/20 è arrivata in seguito al ricorso presentato dalle due donne: dopo essersi sposate e avere avuto una figlia nel 2019, la famiglia si è trasferita nello Stato d’origine di una delle madri; la bambina aveva un regolare certificato di nascita rilasciato dalle autorità spagnole, nel quale le donne figuravano come genitori. Ed ecco porsi il problema. La coppia ha richiesto al Comune di Sofia un regolare documento di identità per la piccola. Ma la richiesta è stata respinta, perché la legge nazionale prevede che sull’atto di nascita siano indicati un padre e una madre. Non quello di due persone dello stesso sesso.

Le autorità della Capitale, inoltre, avevano domandato di poter conoscere quale delle due donne fosse la madre biologica della minore.

La cittadina bulgara richiedente ha scelto di non fornire tale informazione e si è vista di conseguenza negare l’iscrizione allo stato civile della bambina. La Corte di Giustizia europea, però, ha ritenuto le motivazioni dell’amministrazione di Sofia non in linea con il diritto europeo.

E la risposta è stata netta “Nel caso di un minore, cittadino dell’Unione, il cui atto di nascita rilasciato dalle autorità competenti dello Stato membro ospitante (la Spagna, in questo caso) designi come suoi genitori due persone dello stesso sesso, lo Stato membro di cui tale minore è cittadino (La Bulgaria) è tenuto, da un lato, a rilasciargli una carta d’identità o un passaporto, senza esigere la previa emissione di un atto di nascita da parte delle sue autorità nazionali e, dall’altro, a riconoscere, come ogni altro Stato membro, il documento promanante dallo Stato membro ospitante che consente a detto minore di esercitare, con ciascuna di tali due persone, il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri”, si legge nella nota dei giudici.

La Cgue non entra, quindi, nel merito del riconoscimento dei matrimoni tra coppie dello stesso sesso. Ma vuole affermare che se un minore è riconosciuto come figlio di due donne o di due uomini in uno Stato membro dell’Unione, questo deve valere in tutti gli altri Paesi del blocco.

In modo di consentire alla famiglia e allo stesso bambino la possibilità di godere dei dei diritti che gli sono riconosciuti come cittadino europeo. Se questo gli venisse impedito, attraverso il rifiuto di documenti di identità, il Paese incorrerebbe nella violazione dei diritti stabiliti dagli articoli 20 e 21 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dagli articoli 7, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Il dibattito sui diritti delle famiglie arcobaleno è, però, ben presente sul tavolo dell’intera Unione. Da quel 16 settembre 2020, quando la neo-presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva deciso di parlare proprio dei diritti delle famiglie con due mamme o due papà come uno degli ambiti della sua azione, affermando che “Chi è genitore in un Paese, è genitore in ogni Paese“, si è arrivati invece ad una situazione in cui in sei stati – Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia – “un minore non può avere come genitori legali due donne o due uomini”.

Questo è quanto emerge da uno studio dello scorso marzo. Commissionato dal Dipartimento tematico Diritti dei cittadini e affari costituzionali del Parlamento europeo su richiesta della Commissione per le petizioni. Una fotografia nitida di quelli che sono gli ostacoli che le famiglie arcobaleno si trovano ad affrontare. Quando tentano di esercitare i loro diritti di libera circolazione all’interno dell’Ue. Dei modi in cui i singoli Paesi trattano le coppie dello stesso sesso e i loro figli nelle situazioni “transfrontaliere”.

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