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La tutela e la crescita delle minoranze dovrebbe essere una priorità del mondo di domani: ma come farlo?

Il vocabolario ci dice che si considera minoranza “un gruppo di popolazione che, a causa della sua non uniformità etnica, religiosa, linguistica o culturale, si distingue all’interno della società e per questo viene sottoposta a un trattamento differenziato e diseguale da parte di una maggioranza che si reputa universale e detta la norma.”      

I confini fra maggioranza e minoranze non hanno carattere naturale. Essi sono derivati dal processo di formazione dello stato moderno e dall’assunzione del principio di nazionalità come fondamentale.

La tutela delle minoranze non è una materia specifica, ma un obiettivo trasversale che tocca diversi ambiti umani. Anche per questo, non può essere un compito riservato ad un solo attore istituzionale. Deve riguardare tutti i livelli di governo e della società civile, nel rispetto delle rispettive competenze.

L’attuale concetto di minoranza risale agli inizi del Novecento. Fu introdotto dopo la prima Guerra Mondiale. La Lega delle Nazioni sponsorizzò una serie di trattati per proteggere i diritti delle minoranze risultanti dalla modificazione delle frontiere. La discriminazione collettiva rispetto al gruppo dominante è connessa alla dimensione sociale, come illustrato da Louis Wirth, sociologo della Scuola di Chicago: “E’ il sistema giuridico e politico a stabilire se individui o gruppi debbano essere ‘incorporati’ come eguali o diseguali e a determinare l’esistenza delle minoranze”.

Il concetto di minoranza

Il concetto di minoranza non è in alcun modo di ordine statistico: una minoranza in senso sociologico può essere in maggioranza numerica e viceversa. Quasi tutti i paesi nel mondo hanno al proprio interno minoranze tratteggiate da fattori storici, economici, politici, sessuali e geografici. Nonostante ciò, nella maggior parte dei casi, le comunità minoritarie sono vittime di comuni meccanismi di esclusione. Spesso sono strutture o sistemi sociali a marginalizzare nella vita economica, sociale, politica e culturale. Circoli viziosi che accentuano condizioni di povertà e, talvolta, generano situazioni a rischio. Ne offrono un esempio la crisi irrisolta del Darfur, le ripercussioni della “guerra al terrorismo” sulle minoranze di paesi come il Pakistan, le Filippine o lo Sri Lanka, il razzismo ancora vivo nei paesi latinoamericani nei confronti dei discendenti di africani; ancora le discriminazioni sociali dei Rom in Europa.

Come in altre materie ed ambiti, il ruolo dell’Unione Europea è fondamentale in quest’ambito. In materia di minoranze è rimasta molto cauta, nonostante i richiami espliciti del Trattato di Lisbona o della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Ma la tutela delle lingue passa anche attraverso la grande rete di Internet. Contenitore globale di conoscenza e contenuti, monopolizzati però da poche lingue. Infatti sei lingue coprono il 94 per cento dei contenuti online, mentre le altre 6 mila lingue della terra raggiungo la percentuale residuale.

Le parole chiave per le istituzioni in tema di diritti delle minoranze sono responsabilità e coordinamento. Così da garantire il quadro istituzionale e di azione amministrativa necessario al loro sviluppo. Il coordinamento è necessario perché nessun livello di governo, da solo, è in grado di risolvere tutte le questioni che si pongono.

“Minoranze fra le minoranze”

Il concetto di minoranza, nel corso del tempo, si è esteso a diversi gruppi e collettività. I membri sono legati da somiglianza se non comunanza di costumi, modi di pensare e di agire, accompagnata da un sentimento d’appartenenza condiviso. Non si parla più solo di minoranze etniche, linguistiche o nazionali. Si è legato così alla condizione di altre “collettività minoritarie” svantaggiate o discriminate in quanto divergenti dalla norma maggioritaria dominante:

  • minoranze di genere e sessuali: la condizione non paritaria delle donne nella storia e ancora oggi in molti paesi, ha portato a definire il genere femminile come minoranza (nonostante numericamente le donne siano in “maggioranza”). Inoltre, molte persone con orientamenti sessuali differenti rispetto alla maggioranza, vengono considerate come una minoranza;
  • anziani e bambini: Anziani e bambini sono tra le categorie più fragili ed esposte a discriminazione.L’anzianità nell’età moderna riduce in un ruolo minoritario come gruppo sociale non attivo. Allo stesso modo i bambini rappresentano una minoranza che in molti paesi affronta discriminazioni continue;
  • disabili: Il movimento per i diritti dei disabili si batte per riconoscere chi è affetto da disabilità come una minoranza, o una coalizione di minoranze, svantaggiate non solo dal proprio handicap, ma anche dalla società stessa, da tecnologie e istituzioni “tarate” per la maggioranza.

Ciascuno di questi gruppi ha affrontato un percorso di autoaffermazione dei propri diritti. Sovente all’interno di gruppi etnici minoritari queste categorie più vulnerabili subiscono una doppia discriminazione. Il meccanismo oramai è così intrinseco che si rischia la discriminazione anche tra coloro che condividono lo stesso status.

Le minoranze etniche.

I diritti delle minoranze etniche e razziali sono messi a dura prova ovunque.

Un quadro globale è offerto dal Rapporto People under Threat 2008, curato dall’Ong MRG: epicentro di queste violenze è oggi l’Africa, dove si trovano quasi la metà dei venti paesi in cui minoranze vivono oggi sotto la minaccia di genocidi o uccisioni. In cima alla lista Somalia, Sudan, Etiopia, Chad e Repubblica del Centro Africa.

Per quanto riguarda l’Asia, Afghanistan e Pakistan figurano fra i primi sette paesi in ginocchio per le ricadute degli interventi militari in Afghanistan e Iraq. Le leggi antiterrorismo ledono i diritti umani in Sri Lanka, dove si contano centinaia di uccisioni e rapimenti. Infine l’Iraq rimane il luogo più pericoloso in assoluto.

“Diritti per le minoranze, pace per tutti.”

La questione dei diritti dei gruppi minoritari, è emersa a livello internazionale di pari passo con l’affermazione dei diritti civili e collettivi nel XX secolo.

Negli ultimi decenni, in particolare l’ineguaglianza sociale, economica e politica fra comunità si è identificata sempre più come fattore destabilizzante e radice di conflitto, come osservato da Kofi Annan, ex segretario generale delle Nazioni Unite, nell’aprile del 2000 nel suo Millennium Report:

“Dobbiamo fare di più per evitare che scoppino conflitti. La maggior parte di questi avvengono […] in paesi dove potere e ricchezza sono distribuiti in maniera non equa fra gruppi etnici o religiosi. Il miglior modo per prevenire il conflitto è quindi promuovere soluzioni politiche in cui tutti i gruppi siano equamente rappresentati. Combinate con diritti umani, diritti delle minoranze e sviluppo economico diffuso”.

Il tema del riconoscimento dei gruppi minoritari e del riconoscimento di diritti peculiari, è controverso,  Nel diritto internazionale non ha ancora oggi una precisa formulazione, perché i singoli stati tendono a giudicarlo come un problema interno. Lo sviluppo di standard internazionali è stato quindi lento e frammentato, lasciato spesso alle interpretazioni giuridiche di più ampi trattati sui diritti umani. Storicamente si possono individuare le prime norme generali con l’ex Società delle Nazioni che nel trattato di Berlino del 1878 emanò disposizioni per assicurare la libertà religiosa delle regioni danubiane incorporate nell’Impero ottomano. Seguono i trattati di pace del 1919 e dichiarazioni e convenzioni degli anni ‘20 che assicurano alle minoranze uguaglianza di fronte alle leggi e nell’esercizio dei diritti civili e politici.

Il dopoguerra…

Nel secondo dopo guerra, nella Dichiarazione dei Diritti Umani, prevalse la tesi secondo la quale la protezione dei diritti dell’uomo escludesse qualunque altra tutela a gruppi o categorie specifiche. Venne adottata la Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, ma nella Dichiarazione dell’Assemblea generale il 10 dicembre del 1948 non comparve alcun riferimento al tema delle minoranze. L’Assemblea dichiarava, ad ogni modo, la non indifferenza delle Nazioni unite e allo stesso tempo la difficoltà di una soluzione uniforme. Esortando la Commissione sui diritti umani e la Sottocommissione sulla prevenzione della discriminazione e la protezione delle minoranze (istituita nel 1947) ad approfondire il tema. Al lavoro di quest’ultima si deve l’articolo 27 dell’Accordo Internazionale sui Diritti Politici e Civili del 1966, che contiene una norma specifica: “In quegli Stati, nei quali esistono minoranze etniche, religiose o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione o di usare la propria lingua”.

Il conflitto nei Balcani negli anni ‘90 ha poi prepotentemente richiamato l’attenzione della comunità internazionale. Nel 1992 l’Onu all’unanimità ha così adottato la Dichiarazione dei diritti delle persone appartenenti a minoranze religiose e linguistiche, nazionali o etniche, che implementa l’articolo del 1966, appellandosi agli stati affinché creino condizioni favorevoli per permettere alle minoranze di esprimere le proprie peculiarità e sviluppare cultura, lingua, religione e tradizioni. Una nuova prospettiva quindi supera la semplice prevenzione e pacificazione dei conflitti e interpreta le minoranze come elemento indispensabile per lo sviluppo della società e la tutela dei loro diritti come contributo alla stabilità politica e sociale. La Dichiarazione ha però il limite di essere una mera raccomandazione.

La questione

La questione trasversale della tutela dei diritti delle minoranze è stata poi affrontata in conferenze sui diritti umani e contro il razzismo con atti e dichiarazioni generali o relative a situazioni specifiche. Nel 1995 è poi nato in seno all’Onu il Gruppo di Lavoro sulle Minoranze (Working group on Minorities), aperto a ong anche non munite dello status consultivo presso il Consiglio economico e sociale (Ecosoc) – in genere necessario per partecipare agli incontri – in modo da dare voce a tutte le realtà minoritarie. Nel 2005 si è poi affiancato un Esperto indipendente sulle questioni delle minoranze (IEMI), nominato dalla Commissione dei diritti umani. Il primo ha operato come forum per le istanze delle minoranze e luogo di discussione con i rappresentanti dei governi. Il secondo, invece, come destinatario di report e documentazione, con la possibilità di affrontare questioni specifiche con i governi e condurre visite nei paesi.

In un processo di riforma il Gruppo di Lavoro nel settembre 2007, è stato trasformato in un Forum sui temi delle minoranze, raccogliendo le istanze della campagna guidata dalla ong MRG e International Movement Against All Forms of Discrimination and Racism (IMADR). Il forum offre una piattaforma di lavoro le cui conclusioni sono trasmesse al Consiglio dei Diritti Umani. Considerando l’opposizione di alcuni stati, la sua istituzione è stata valutata già di per sé come un risultato, ma come sottolineano le stesse ong promotrici, deve dimostrare la propria efficacia.

In Europa cosa si dice?

Negli ultimi decenni, l’articolato scenario europeo dei gruppi minoritari è divenuto ancora più frastagliato: alle storiche minoranze nazionali, religiose e linguistiche, con l’allargamento dei confini dell’Unione e con i crescenti flussi migratori extraeuropei, si sono aggiunte nuove comunità minoritarie. Se buona parte di queste godono di diritti riconosciuti, esistono però collettività ancora in condizioni problematiche.

Già nella prima sessione di lavoro per la Convenzione europea sui diritti dell’uomo approvata nel 1950, il Consiglio d’Europa ritenne importante affrontare il nodo delle minoranze nazionali, stabilendo il divieto di discriminazione (art.14), ma non affermando di contro un riconoscimento autonomo dei diritti delle minoranze o di protezione positiva di queste.

E’ poi intervenuta sul tema l’ Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa. Nell’atto finale di Helsinki del 1975 veniva riconosciuta una tutela alle persone appartenenti alle minoranze nazionali, nella logica dell’inviolabilità delle frontiere e dell’integrità territoriale degli Stati. Il documento più rilevante appare però negli anni seguenti la caduta del muro di Berlino, nell’incontro di Copenhagen sulla Dimensione Umana del 1990. Quando si raggiunse una lista di diritti da garantire alle minoranze nazionali: la più completa serie di standard inerenti le minoranze umane per l’epoca.

I principi…

L’alto valore politico del documento è dato dal riconoscimento del contributo prezioso delle minoranze e dei loro diritti come obiettivo essenziale per la pace e la stabilità, come ribadito poi nella Carta di Parigi per una nuova Europa, firmata nel novembre 1990. Sempre all’Osce si deve l’istituzione nel 1992 della carica dell’Alto commissario sulle minoranze nazionali. Il suo compito principale è quello di individuare le potenziali aree di crisi fra gruppi etnici e fornire supporto attraverso raccomandazioni non vincolanti per i governi. Nella sua attività si avvale delle strutture dell’Ufficio delle Istituzioni Democratiche e dei Diritti dell’uomo.

Secondo la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali – in vigore anch’essa nel 1998 e oggi ratificata da 39 paesi, compresa l’Italia – è il primo strumento giuridico multilaterale europeo dedicato alla protezione delle minoranze nazionali. Enuncia in particolare i principi concernenti le persone appartenenti alle minoranze nazionali nella sfera pubblica. La libertà di riunione pacifica, di associazione, di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione, l’acceso ai media, nonché le libertà linguistiche.

La nuova situazione politica fra il 1989 e il 1994 ha parallelamente incoraggiato numerosi trattati bilaterali fra singoli stati dell’Europa centrale e orientale. Trattati che hanno avuto il doppio obiettivo non coercitivo di garantire reciprocamente il riconoscimento dei confini e proteggere le minoranze nazionali. Una ulteriore affermazione del rispetto per la diversità culturale, razziale e linguistica si ritrova infine nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione proclamata nel 2000.

L’Italia delle minoranze

Il problema della valorizzazione delle diverse identità è stato fondamentale fin dall’istituzione della Repubblica. L’Italia è uno dei pochi stati europei che esplicitamente nella sua Costituzione tutela le minoranze linguistiche. L’articolo 6.  “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”, ha trovato poi applicazione in alcune regioni a statuto speciale (come la Valle d’Aosta). La legge 482 del 1999 sulle Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche prende atto dell’esistenza anche di altre minoranze linguistiche: ” la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il francoprovenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo”.

La carta costituzionale

Sempre nella Carta Costituzionale c’è una disposizione che fa riferimento alle minoranze religiose (art. 8) che stabilisce il principio della libertà delle confessioni religiose “diverse dalla cattolica” di organizzarsi in propri statuti. La presenza fin dalle origini della Repubblica di questi riferimenti legislativi non ha impedito però la proliferazione di episodi di discriminazione in diversi ambiti. Da quello sociale o a livello di esclusione dai principali mezzi di comunicazione, in aperta contraddizione con le disposizioni per la tutela delle minoranze. Una fotografia è offerta dalle conclusioni dell’esame dell’Italia nella Sessione del marzo 2008 del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD), nella valutazione sull’adeguamento alle disposizioni della “Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale” ratificata dall’Italia nel 1976.

Il Comitato Onu ha evidenziato con preoccupazione la situazione delle comunità Rom e Sinti. Le popolazioni zingare vengono ospitate in campi e emarginate in violazione dei diritti umani, secondo il Centro Europeo per i diritti dei Rom (Errc). Altri punti deboli sono rintracciati nella diffusione di discorsi razzisti nei mass media e nella stessa complessa legge sulla nazionalità.

 

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