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Orrore su tela

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Il tema dell’orrore è stato esplorato a fondo con l’ausilio di infiniti mezzi. La cinematografia, la letteratura e l’arte in tutte le sue forme sono sature di tutte le possibili variazioni sull’argomento. Inoltre, la paura è una reazione talmente soggettiva da permettere di declinarla in gradi totalmente diversi tra loro, in base alla suscettibilità dello spettatore.

L’orrore non si prova soltanto di fronte a un film splatter, quindi con immagini esplicitamente macabre. Talvolta, con l’uso sottile e astuto di simbologie oscure, è possibile far nascere un profondo senso di inquietudine anche a partire da immagini apparentemente comuni.

L’arte figurativa, per la sua immediatezza grafica, è uno dei campi in cui il tema dell’orrore ha avuto più diffusione, fin dai secoli scorsi. Basti pensare all’iconografia medievale, un esempio lampante di come la rappresentazione dell’occulto e del macabro avesse un forte impatto sugli spettatori. A partire da temi come la superstizione, la magia nera, l’esoterismo e qualsiasi disciplina che si discostasse dagli ideali cristiani, si venne a creare una sorta di corrente di ribellione agli standard religiosi del tempo. Queste influenze persistettero nei secoli a venire, e si tramutarono in quella che oggi potremmo definire un’arte horror. Qui di seguito, alcuni esempi di opere inquietanti, in epoche diverse.

Streghe e incantesimi – Salvator Rosa, 1646, olio su tela, 72,5 x 132,5 cm, National Gallery (Londra)

Streghe e incantesimi” è un dipinto appartenente alla serie di Magherie di Salvator Rosa, pittore, filosofo e poeta del ‘600. Nonostante la sua arte si sia creata ed esaurita in questo secolo, risulta fortemente avanguardistica. La vicinanza con il tema esoterico è sicuramente frutto del periodo napoletano, risalente alla prima giovinezza dell’autore. L’inquietudine trasmessa dai soggetti del Rosa rimanda al ben più tardo romanticismo, che sembra anticipare grazie all’anticonformismo che lo contraddistingueva.

Rosa inizia a interessarsi a questo tipo di rappresentazione solo nel periodo fiorentino. Il collezionismo per i soggetti magico-stregoneschi era comune ad alcuni nobili della città, legati alla casata Medici. Ad esempio, il banchiere Carlo de Rossi, suo amico e collezionista, possedeva Streghe e incantesimi, una delle Stregonerie più celebri, conservata dietro una tendina. Si trattava infatti di opere di fruizione privata, tenute segrete e mostrate solo ad una cerchia ristretta di amici, un pubblico elitario di collezionisti.

Artista dimenticato nella sua contemporaneità, la sua biografia venne riscoperta nel 1963 dallo storico dell’arte Luigi Salerno, che in un suo scritto definì Salvator Rosa come “pittore del dissenso”. La sua lontananza dal mecenatismo dell’epoca gli è valsa questo titolo, insieme allo spiccato interesse per il gusto gotico, per la magia nera e per l’orrore.

L’incubo – Johann Heinrich Füssli, 1781, olio su tela, 75,5 × 64 cm, Detroit Institute of Arts (USA)

“L’incubo” di Johann Heinrich Füssli ha come titolo originale Nightmare. In inglese, night significa notte, mentre mare significa cavalla. Il significato letterale del titolo risale a una leggenda della mitologia scandinava. Il “mare” era un piccolo demone che durante il sonno poteva sedersi sul petto dei dormienti, causando ansia e incubi, per l’appunto.

L’elemento principale del dipinto è la giovane donna in primo piano, riversa sul letto in una posizione innaturale, quasi a sembrare morta. L’apparenza tramortita suggerisce allo spettatore un senso di totale abbandono agli spiriti dell’incubo, una sopraffazione delle forze oscure. Queste ultime sono rappresentate dalla cavalla con gli occhi sbarrati, il cui muso spunta dalla tenda rossa sullo sfondo, e dal demone appoggiato sul petto della ragazza.

Si può notare uno spiccato contrasto tra gli elementi tetri del quadro, a cui si abbinano colori scuri e spenti, e la figura della fanciulla, che rappresenta la purezza ed è illuminata da colori candidi e tenui. Questa contrapposizione tra il bene e il male contribuisce a donare un senso di disagio allo spettatore, che ritrova l’orrore nel corpo esanime della giovane, schiacciato dal peso dell’inquietudine.

 

Il Grande drago rosso e la donna vestita col sole – William Blake, 1805-1810, acquerello, 54,6 x 43,2 cm,  Brooklyn Museum (New York)

Questo dipinto fa parte di una serie di illustrazioni intitolate “Grande drago rosso”, commissionate a William Blake intorno al 1805. I quattro lavori furono realizzati per illustrare la Sacra Bibbia, direttamente ispirati all’Apocalisse del Vangelo secondo Giovanni. Poeta oltre che artista, Blake fu fortemente influenzato dalla simbologia infernale. A partire da autori come John Milton e Dante Alighieri per la letteratura, Albrecht Dürer, Bruegel il Vecchio e Leonardo Da Vinci per l’arte, riuscì a produrre una rappresentazione dell’oscuro personale e visionaria, diventando un punto di riferimento per la sua epoca.

Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato”

Dalla descrizione del mostro nel libro dell’Apocalisse, Blake rielabora la rappresentazione del demonio secondo la sua visione. Anche in quest’opera, come nell’Incubo di Füssli, il netto contrasto tra la luce e le tenebre suscita orrore e spavento, come si legge nell’espressione sul volto della donna vestita col sole.

 

Saturno che divora i suoi figli – Francisco Goya, 1819-1823, disegno a olio su muro, 143×81 cm, Museo del Prado (Madrid)

Questo quadro fa parte della serie delle Pitture nere di Goya. Sono 14 disegni che l’artista realizzò nell’ultimo periodo della sua vita, sui muri della propria casa. Solo successivamente, quando gli studiosi scoprirono questi capolavori, decisero di trasferirli su delle tradizionali tele.

Goya acquistò una casa chiamata Quinta del Sordo, nel 1819. L’abitazione aveva ottenuto questo soprannome perché l’inquilino precedente era sordo. Per assurdità, il caso volle che anche Goya divenne sordo a causa di una forte febbre che lo colpì anni prima, nel 1792.

Quando diede vita alle Pitture nere, aveva 73 anni e la paura della morte lo attanagliava. Inoltre, la guerra civile che imperversava in Spagna lo aveva privato di ogni speranza.

Il dipinto rappresenta l’episodio del dio Saturno (anche detto Crono) che divora i suoi figli, appartenente alla mitologia greca. Secondo la storia, Saturno iniziò a divorare tutti i figli che la sua compagna Rea partoriva per paura che, un giorno, avrebbero potuto privarlo del suo trono. Questa paura derivava dal fatto che lo stesso Saturno aveva conquistato il potere eliminando suo padre Caelus.

L’artista ha dipinto il momento più cruento del mito, ovvero mentre Crono è impegnato a divorare uno dei neonati partoriti da Rea. Come si può vedere, la vittima è stata privata della testa e di un braccio, dalle cui estremità mutilate sgorga un fiotto di sangue. L’orrore di questo dipinto si sprigiona dallo sguardo di Saturno. Gli occhi sbarrati suggeriscono l’immagine della follia e dell’irrazionalità, una rabbia bieca che conduce Crono all’infanticidio, per soddisfare la propria fame di potere.

Il volto della guerra – Salvador Dalí, 1940, olio su tela, 79 x 64 cm, Museum Boijmans Van Beuningen (Rotterdam)

Salvador Dalí, con questo dipinto, vuole rappresentare l’orrore causato dalle guerre. Fu dipinto negli anni della guerra civile spagnola e allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, quando l’artista dovette trasferirsi in California.

I teschi raffigurati si replicano all’interno delle cavità facciali, in modo infinito. Questo continuo rimando di morte sta forse a significare la perenne presenza della guerra nel destino dell’umanità.

Il surrealista Dalí realizzò molti disegni preparatori, prima di arrivare alla versione definitiva. In uno di questi è raffigurato un occhio invaso dalle api. In un’altra stampa, due allegri ubriachi presentano le orbite degli occhi trasformate in teste. Il tavolo che circondano ha i denti, mentre i bicchieri da cui bevono diventano narici di forma triangolare.

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