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2 anni agoon
“L’attrazione per il vuoto è una lunga storia d’amore.
Parlare del fascino della morte è sempre un azzardo.
Leggere “La ferita”, romanzo breve e intenso che porta la firma di Lucio Leone e il marchio di Polidoro Editore, è un’attività pericolosa e dolorosa. La mano dell’autore, che più che una penna stringe tra le dita un bisturi impazzito, esce fuori dalla pagina e pugnala il petto del lettore senza pietà, colpendolo direttamente al cuore e costringendolo a sanguinare sulla pagina.
Non si può dire in modo più gentile, perché, a dispetto dell’atmosfera onirica e del garbo delle parole scelte, questa non è una storia dolce: la voce di Leone è feroce e sbrana chi lo ascolta.
L’inchiostro di sangue che l’autore ha scelto di usare per scrivere questa favola oscura è velenoso ma incredibilmente gustoso. Ogni pagina è un sorso e ogni parola corrode la gola, ma non si può smettere di assaporarle: “La ferita” è un salto nel vuoto, il canto di una sirena cattiva a cui è impossibile resistere.
“Che strana forma di telepatia la scrittura, telepatia con i morti, pensieri condivisi ed eterni.
Il protagonista di questa storia è un uomo che svolge un lavoro davvero particolare: quando il suo telefono squilla, raggiunge il corpo di un suicida e gli infligge una ferita sul petto, infilandosi al suo interno. Immergendosi nella mente, nel cuore e nei ricordi del morto cercherà di evitare che compia l’estremo gesto.
L’uomo misterioso, di cui conosceremo il nome solo alla fine del romanzo, è bravo nel suo mestiere – ma qualcosa, a un certo punto, cambia e così lui inizia a fallire. Tra ambientazioni emotive e suggestive, un mistero che serpeggia tra le pagine e uno smisurato e dichiarato amore per la parola scritta, Leone dipinge una storia inquietante, scheletrica e sfaccettata che, voltata l’ultima pagina, sarete davvero felici di aver letto.
“La depressione è così, inizia con un dono, ti introduce in un rito e in una comunità a cui ha accesso solo chi ne ha avuto i sacramenti. È una religione della coscienza. Con i suoi segreti, i suoi misteri.
Questo romanzo parla di suicidio, di morte, di depressione e lo fa in maniera morbosamente innovativa. Non c’è ombra di giudizio e nemmeno di biasimo nelle parole di Leone, che invece risultano affascinanti proprio perché riflettono, nell’atmosfera trasognata e delirante della sua storia, una verità che nessuno, in questo tempo svuotato e votato al piacere, osa dire ad alta voce: il richiamo del vuoto e della morte sono seducenti e affascinanti.
Non è certamente il primo, questo autore, a dipingere un ritratto a tinte fosche che ritrae la pulsione di morte e il Thanatos di cui tanto parlavano gli psicoanalisti, Freud e i miti prima di loro, ma il modo in cui lo fa è davvero bello – e non servono parole più complicate per dirlo: la storia di Leone, come la sua penna, è davvero bella.
Leone leviga la prosa, scarnifica la trama del suo racconto fino ad arrivare a un’essenza, a un nucleo puro intorno cui lascia al lettore la possibilità di orbitare e di ricamare la storia. La bravura dell’autore si vede nella capacità non comune che ha avuto nel raccontare una verità con linee pulite senza cedere alla tentazione di appesantirle con gli orpelli di cui è tanto facile caricare la parola scritta – “La ferita”, leggera e pura com’è, assoluta, è una storia che potrebbe resistere alla prova del tempo come poche altre, tra quelle scritte in questi anni, riusciranno a fare.
“Una volta un uomo mi ha detto che l’unico modo per beffare la morte è capire che non esiste.
Ogni verità è una ferita e questa storia racchiude, oltre la finzione, una verità assoluta – e questo la rende un’imperdibile perla. Lasciatevi sedurre dalla voce di Leone, assaporate il suo sangue amaro e lasciatevi ferire dalla sua penna affilata: vi posso assicurare che non ve ne pentirete.
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