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Teatro

C’è un Amleto spezzato al Teatro Tram // recensione

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Scarnificare la carne di una storia

Cosa resta di una storia quando la si spoglia di tutti i suoi abiti? Cos’è che ci spinge dentro i panni e la pelle di un personaggio, che ci permette di indossare le sue emozioni, le sue tragedie e la sua follia? Cos’è che consente al teatro di andare oltre, essere altro, che trasforma le assi del palcoscenico in qualcosa che vada al di là del legno e della stoffa del sipario?

Cosa resta di una storia quando una penna affilata come un coltello ne scarnifica la carne, eliminando le scenografie, i generi degli attori e la pomposità di certi costumi?

Cosa rende un racconto vivo, cosa gli consente di essere, di resistere ai secoli? Qual è il suo sangue destinato a morire e rinascere e cosa sono le ossa che ne sostengono il cammino attraverso il tempo? Qual è la sua essenza, il suo telos, la linea essenziale e pulita che ne costituisce l’anima d’acciaio? Cosa rende eterna la voce di certi autori, scrittori, drammaturghi? 

Giovanni Meola prova a rispondere a queste domande con il suo ultimo spettacolo teatrale, “Amleto o il gioco del suo teatro”, per la prima volta in scena al teatro TRAM di Napoli.

Essere, resistere, morire: un’autentica e dissetante menzogna

La scenografia è essenziale – il palcoscenico e le pareti che lo circondano sono nere, ci sono delle luci che colorano la scena e quando gli attori appaiono per la prima volta montano un cavalletto dove poggiano un microfono, portano uno sedia ed è tutto lì. Quando lo spettacolo inizia c’è una voce che rimbomba in sala, che inizia a raccontare, che invita ad ascoltare – Orazio, il pubblico, chiunque sia capace di ascoltare, chiunque ne abbia il desiderio e il bisogno.

Non c’è un cast numeroso: ci sono solo tre attori, due donne e un uomo – Solene Bresciani, Vincenzo Coppola e un’incredibile Sara Missaglia – che si scambiano voci, espressioni e ruoli senza badare al genere o all’età, che portano abiti semplici e che hanno bisogno di indossare solo le loro espressioni. Sono tutti e nessuno, contemporaneamente sul palco personaggi e attori, maschere che recitano e si fanno vere, persone che giocano al gioco del “far finta che”. La loro performance – nuda, essenziale – rende tangibile l’inespresso, l’impossibile, l’indicibile, che in questo scambio continuo di voci e mimiche rendono reale la finzione, portando negli occhi degli spettatori la follia di Amleto e di Ofelia.

Amleto o il gioco del suo teatro” è un’autentica menzogna, una bugia che racconta la verità.

Quella a cui assistiamo è una messa in scena che possiede il midollo spaventoso e divertente che ci disseta ogni volta che viviamo, ascoltiamo o leggiamo una buona storia: questo Amleto è spezzato, ab-soluto e sciolto, slegato dal suo tempo e dal nostro – è autentico e, nella sua falsità, nel tradimento della traduzione della vita in una rappresentazione, ci racconta qualcosa su di noi.

Amleto o il gioco del suo teatro

Primo (e speriamo non ultimo) progetto shakespeariano della compagnia Virus Teatrali, questo Amleto rotto, frammentato, decostruito e ricomposto in nuova forma dalla penna di Giovanni Meola infesta come uno spettro dalla bella voce il Teatro TRAM di Napoli fino al 13 Febbraio.

Se volete conoscere il sapore delle ossa di Amleto e dell’anima metallica di una bella storia andate a vederlo: non ve ne pentirete.

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