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2 anni agoon
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RedazioneIl quadro più famoso del mondo, la Gioconda di Leonardo Da Vinci, potrebbe avere una “sorella gemella”, conservata per decenni in un deposito di Montecitorio a Roma e ignorata perché considerata una copia del dipinto francese.
Il sottosegretario alla Cultura, Lucia Borgonzoni, riguardo all’opera ritrovata nel 2019, ha spiegato che “è stata restaurata grazie a un intervento del Ministero della Cultura, del Ministero dell’Interno e dei Lincei durante il Conte I, in occasione delle celebrazioni per i 500 anni della morte di Leonardo.
Quando è stata trovata, l’opera era chiusa nell’ufficio di un questore, dove è tristemente tornata appena caduto l’esecutivo. Resto convinta, oggi come allora (una teoria che ho esposto non appena riassunto il ruolo di Sottosegretario alla Cultura) che per il dipinto vada individuata una sede più adeguata che non la Camera dei deputati, per costruire il percorso di promozione e studio che merita”.
La Gioconda romana apparteneva alla famiglia nobiliare dei Torlonia ed è arrivata nel 1925 a Palazzo Montecitorio dal museo di arte antica di Palazzo Barberini.
Sottoposto negli anni all’analisi degli studiosi, il dipinto viene fatto risalire alla prima metà del Cinquecento, secondo quanto confermato anche dalle ultime verifiche compiute durante un recente restauro della tela.
Tanti gli storici dell’arte che vedono la mano di Leonardo nel quadro, sostenendo che “certi tratti del paesaggio e le velature degli incarnati di questo dipinto sono di una trasparenza che echeggia in maniera puntuale la tecnica esecutiva di Leonardo operata nel dipinto del Louvre”, anzi, “la tecnica pittorica … è così raffinata dal lasciar presupporre che lo stesso Leonardo abbia messo mano alla definizione chiaroscurale del volto”.
Ma non mancano altri esperti che, invece, sono in totale disaccordo con queste teorie. Vittorio Sgarbi ha detto chiaramente:
“Quello che è stato annunciato come un capolavoro di Leonardo, una seconda Gioconda, è in realtà un modesto dipinto di arredamento. Non l’ombra, ma l’incubo di Leonardo, una modesta tela esposta in un palazzo pubblico, nell’Ufficio del Questore di Montecitorio” poi fatta passare “come una seconda Gioconda di Leonardo, che, per inciso, ha fatto fatica (ci ha messo 5 anni) a dipingerne una. L’eccitazione di menti ottenebrate ha evocato con grande suggestione magazzini, depositi, polvere, evitando l’unica parola pertinente: arredamento! E cioè quello che solitamente, provenendo dai depositi di un museo (in questo caso dalla Galleria Nazionale Borghese) viene chiesto, a partire dalla Camera e dal Senato, e poi da ambasciate e prefetture, per arredare sale aperte al pubblico, come da anni è Montecitorio. Tanto rumore per nulla”.
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