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Ambiente

La sostenibilità e il futuro dei viaggi d’affari (e non solo)

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articolo di Saveria Russo

Come si fa a ridurre le emissioni di CO2 e creare un programma di viaggio sostenibile? Sono doverse le attenzioni che si possono adottare per viaggiare non solo in modo sicuro per noi, ma anche per l’ambiente.

La sostenibilità non è solo una moda , ma si tratta di una priorità delle aziende, che ora si impegnano a proteggere le risorse naturali, a ridurre le emissioni di CO2 e ad avere un impatto positivo sull’ambiente tramite misure ecologiche. Questo riguarda anche la gestione di un programma di viaggio d’affari, che deve essere sostenibile.

Gli studi e i dati sulla sostenibilità

Secondo uno studio del 2020 dell’Associazione mondiale per i viaggi d’affari (Global Business Travel Association o GBTA), la maggior parte dei responsabili di viaggio ha dichiarato di voler adottare pratiche di viaggio sostenibili nei loro programmi. Per questo, hanno bisogno di linee guida per creare normative sul cambiamento climatico che riducano l’impatto negativo sull’ambiente, raggiungano un equilibrio tra un programma di viaggio sostenibile e gli obiettivi aziendali e offrano dati incoraggianti agli azionisti.

L’aereo è un mezzo sempre più utilizzato negli spostamenti, il crescente mercato dei voli low cost ha letteralmente trainato questo settore ed oggi si contano centomila voli ogni giorno in tutto il pianeta, una cifra esorbitante destinata a moltiplicarsi in pochi decenni.

Si stima che, nonostante la crescita dell’efficienza dei veivoli, nel 2050 le emissioni di anidride carbonica (CO2) saranno triplicate. Questo determinerebbe un impatto significativo sia ad alta quota che a bassa quota, contribuendo a quello che viene definito “surriscaldamento globale”.

Ognuno di noi deve prendere coscienza del problema e contribuire all’abbattimento delle emissioni di CO2, finanziando progetti di sostenibilità. Come rileva l’Enac, l’ente nazionale per l’aviazione civile, gli aerei in volo producono anidride carbonica (CO2), ossido di azoto (NOx), idrocarburi (HC), monossido di carbonio (CO), fumo. Questo inquinamento si diffonde ed ha effetto sia ad alta quota andando a contribuire al cosiddetto effetto serra, sia a basse quote andando ad impattare sulla qualità dell’aria respirata.

Ben il 2% della CO2 prodotta in tutto il mondo proviene dagli scarichi degli aerei, una porzione quindi rilevante.

L’impegno di ciascuno e la carbon footprint

Al di là degli effetti a breve e lungo termine di questo inquinamento, ogni viaggiatore dovrebbe cercare di contribuire ad abbattere le emissioni prodotto dal suo viaggio.

Nella partita verso la sostenibilità esiste una variabile cruciale per aziende, enti e per l’intero ecosistema ambientale: è la cosiddetta “impronta di carbonio”, che stima le emissioni in atmosfera di gas serra causate da un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione, da un evento o da un individuo.

La carbon footprint è il parametro che, meglio di qualunque altra variabile, permette di determinare gli impatti ambientali che le attività di origine antropica hanno sul climate change e, quindi, sul surriscaldamento del pianeta. Il dato permette infatti di stimare le emissioni in atmosfera di gas serra causate da un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione, da un evento o da un individuo, espresse generalmente in tonnellate di CO2 equivalente (ovvero prendendo come riferimento per tutti i gas serra l’effetto associato al principale di essi, il biossido di carbonio o anidride carbonica, calcolato pari ad 1), calcolate lungo l’intero ciclo di vita del sistema in analisi.

A cosa servono tutti questi calcoli?

E’ stato il Protocollo di Kyoto (il trattato internazionale in materia ambientale riguardante il surriscaldamento globale, pubblicato l’11 dicembre 1997 nella città giapponese di Kyoto da più di 180 Paesi, in occasione della Conferenza delle parti “Cop3” della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), a stabilire quali gas serra debbano essere presi in considerazione nel calcolo: anidride carbonica (CO2, da cui il nome carbon footprint), metano, ossido nitroso, idrofluorocarburi, perfluorocarburi, esafloruro di zolfo.

Ma a cosa serve la conoscenza della carbon footprint di un prodotto o di un servizio?

La carbon footprint è un parametro di grande importanza ed utilità per le pubbliche amministrazioni e gli organismi internazionali: da un lato permette infatti di valutare e quantificare gli impatti emissivi in materia di cambiamenti climatici nell’ambito delle politiche di settore, dall’altro aiuta a monitorare l’efficienza ambientale ed energetica delle proprie strutture.

Inoltre, dal momento che l’impronta di carbonio rappresenta il 50% di tutta l’impronta ecologica, conoscerne l’entità è importante anche in termini di pianificazione, poiché fornisce un’idea della domanda esercitata sul pianeta derivante dall’uso dei combustibili fossili. La sua riduzione è quindi essenziale per porre termine allo sfruttamento eccessivo delle risorse.

La carbon neutrality

Ma il dato è cruciale anche per le strategie di business: in un contesto che vede premiati i fornitori di prodotti o servizi a basse emissioni, la carbon footprint può essere uno strumento per valorizzare le proprie attività e promuovere le proprie politiche di responsabilità sociale ed ambientale, secondo i criteri ESG.

In questo quadro, infatti, le aziende, oltre a condurre l’analisi e la contabilizzazione delle emissioni di CO2, si impegnano a definire un sistema di carbon management finalizzato all’identificazione e realizzazione di quegli interventi di riduzione delle emissioni, economicamente efficienti, che utilizzano tecnologie a basso contenuto di carbonio.

Le misure di riduzione possono essere integrate dalle misure per la neutralizzazione delle emissioni (carbon neutrality), realizzabili attraverso attività che mirano a compensare le emissioni con misure equivalenti volte a ridurle con azioni economicamente più efficienti o più spendibili in termini di immagine (es. piantumazione di alberi, produzione di energia rinnovabile, etc.).

Secondo il ministero italiano dell’Ambiente, l’esperienza degli ultimi anni suggerisce che il label di carbon footprint è percepito dai consumatori come un indice di qualità e sostenibilità delle imprese.

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