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1 anno agoon
Le rivalità politiche tra il presidente Abdel-Fattah al-Burhan e il vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo hanno condotto a un massacro che rischia di trasformarsi in una vera e propria guerra civile. Negli scontri sono morte almeno 25 persone, tra cui anche 3 operatori ONU.
L’Alto Commissario ONU per i diritti umani, Volker Turk, ha chiesto che i due capi cessino immediatamente le ostilità e tornino al tavolo dei negoziati. La fine del conflitto sembra tuttavia lontana: alcuni uomini armati – probabilmente delle RSF – hanno addirittura fatto irruzione nelle abitazioni dei dipendenti delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali che lavoravano sul territorio.
Nel corso di queste irruzioni sarebbe stata stuprata almeno una donna e sarebbero stati rubati, come si legge in un documento ONU, beni e auto. Sembra che si siano verificati anche dei rapimenti.
In Sudan si stanno scontrando l’esercito, guidato dal presidente del Consiglio sovrano al-Burhan, e i paramilitari delle Forze di Supporto Rapido (RSF) guidati invece dal vicepresidente del consiglio Dagalo.
Stando ad alcune stime, il gruppo dei paramilitari – che deriverebbe dai celebri janjaweed, “i diavoli a cavallo” che furono protagonisti negli scontri dei primi anni 2000 e che oggi sono considerati vicini ai mercenari filorussi della Wagner impiegati nella guerra in Ucraina – ammonterebbe a circa 100mila uomini.
Il predidente al-Burhan e il vicepresidente Dagalo nel 2019 combatterono dalla stessa parte quando, con un golpe, venne deposto al Bashir. Rovesciato il regime dittatoriale dopo 30 anni, venne costituito un governo civile che, però, fu fatto cadere dagli stessi al-Burhan e Dagalo nel 2021. In quell’anno venne anche costituita l’alleanza militare del Consiglio Sovrano.
Nel 2022 le idee dei due entrarono in conflitto. L’esercito governativo, infatti, avrebbe voluto riprendere la via della democratizzazione – anche per ricevere aiuti dalla comunità internazionale, che chiedeva, tra le altre cose, che le RSF venissero integrate nell’esercito entro due anni. Quest’ultima condizione non sarebbe piaciuta a Dagalo, che avrebbe voluto far durare invece il processo di integrazione circa 10 anni.
La tensione, da quel punto in avanti, è cresciuta sempre di più ed è sfociata, in questi giorni, nel conflitto armato.
Sono migliaia, secondo l’ONU, i civili “intrappolati nelle loro case senza elettricità” in Sudan e il rischio è che rimangano senza cibo, acqua potabile e medicine.
Intanto è stato raggiunto l’accordo per una tregua di 24 ore dopo il confronto del capo delle forze paramilitari con il segretario amaricano Anthony Blinken.
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