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Cronaca

Bambino siriano di un anno morto al confine con la Polonia

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Non si arresta la crisi dei migranti tra Polonia e Bielorussia. E il bilancio delle vittime si fa sempre più grave. Anche un bimbo siriano di un anno è morto sul confine polacco. Hanno ritrovato il cadavere nel bosco. E intanto il Governo di Varsavia arresta un centinaio di persone.

A riferirlo è stato su Twitter il Centro polacco per l’aiuto internazionale. Hanno ritrovato il corpicino senza vita di un bimbo di un anno nei boschi, sul confine fra Bielorussia e Polonia, uno dei percorsi battuti dai migranti che cercano di entrare in Europa. I genitori del piccolo, entrambi siriani, erano feriti e i soccorritori li hanno portati via per curarli. Nessuno, però, secondo una prima ricostruzione, aveva capito che c’era anche un bambino da salvare.

Il povero bimbo è rimasto così da solo nella foresta che lambisce la frontiera. Lo hanno ritrovato un’ora più tardi, su insistenza dei genitori, quand’era ormai morto.

Il bimbo siriano morto sul confine polacco

Il bimbo sarebbe morto di freddo, stando alle notizie che filtrano da parte delle associazioni umanitarie attive in zona. A raccontare e divulgare questa tragica storia è stato, infatti, il Centro polacco per l’aiuto internazionale (RatownicyPCPM). Tutto si è svolto la scorsa notte, quando membri del gruppo sono arrivati in zona per prestare soccorso ai migranti.

Dopo aver salvato i due genitori del piccolo (il padre aveva una lesione al braccio, mentre la madre una da coltello alla gamba), si sono preoccupati di cercare il bambino disperso. Lo hanno trovato solo qualche ora dopo, morto.

Durante questi questi soccorsi, il centro polacco ha salvato un giovane in condizioni di disidratazione e denutrizione.

Chiunque voglia tenersi aggiornato sulla situazione può visitare il profilo Twitter della ong. Proprio sul social network, infatti, hanno lanciato l’allarme e denunciato la tragedia. Quindi bisogna ringraziare il Polish Center for International Aid, che si sta impegnando attivamente su più fronti: quello dei soccorsi e quello della comunicazione.

La risposta del Governo polacco

Sono almeno sei le persone morte finora a causa della chiusura del confine. Le autorità polacche accusano l’Europa di superficialità e invocano il diritto a difendersi dalla crisi anche attraverso la dura repressione.

Migliaia di persone – le stime vanno da 3 a 7 mila – che tentano di raggiungere l’Europa dal Medio Oriente rimangono bloccate al gelo e senza riparo in un braccio di ferro tra Lukashenko – accusato di aver deliberatamente creato la crisi “spedendo” i migranti verso il confine europeo – e il muro di Varsavia che ha blindato la frontiera perché «se non siamo in grado di gestire ora migliaia di migranti, presto ne avremo centinaia di migliaia, milioni che arrivano in Europa» ha detto ieri il premier polacco Morawiecki, che non esclude la possibilità di una guerra come sviluppo della crisi. Solo pochi giorni fa la comunità musulmana di Bohoniki, nel Nord-Est della Polonia, aveva celebrato i funerali di altre due vittime, Lunedì era stata la volta invece dell’addio, trasmesso in streaming alla sua famiglia, del diciannovenne siriano Ahmad al-Hasan, trovato morto nel fiume Bug, nella Polonia orientale, il 19 ottobre. Secondo i testimoni, Ahmad, non sapeva nuotare, costretto da un soldato bielorusso a entrare in acqua.

L’intervento della Merkel.

E mentre ieri arrivava la notizia dell’arresto da parte della polizia polacca di cento persone che avevano cercato di attraversare il confine a Dubicze Cerkiewne, dall’altro lato della frontiera ci sarebbero timidi segnali di distensione: l’accampamento di fortuna nato nella zona frontaliera tra il villaggio bielorusso di Bruzgi e quello polacco di Kuznica è stato smantellato e le persone trasferite in una struttura ad alcune centinaia di metri di distanza. Sarebbero stati rifocillati e messi al riparo. La mossa di Minsk (smentita subito dalla Polonia) potrebbe essere un primo effetto delle due telefonate in tre giorni fatte dalla cancelliera tedesca Merkel a Lukashenko. Dopo l’intervento di Merkel un primo gruppo di 431 migranti, prima trasferiti a Minsk e poi rimpatriati in Iraq con un volo della Iraqi Airways che ha fatto scalo prima a Erbil, nel Kurdistan da cui proveniva la maggior parte di loro, e poi a Baghdad: un ritorno che per le autorità curdo-irachene sarebbe avvenuto su base volontaria.

Se i colloqui avviati dalla cancelliera porteranno a un reale allentamento delle tensioni al confine lo vedremo presto, di certo le conversazioni delle ultime ore potrebbero rappresentare una sorta di viatico a colloqui diretti tra Minsk e l’Unione, un’ipotesi che ha irritato molti leader europei e su cui Bruxelles si è affrettata a gettare acqua sul fuoco. L’imbarazzo è legittimo: se i negoziati fossero confermati, Lukashenko – non riconosciuto e sottoposto a sanzioni per violazione dei diritti umani – verrebbe riconosciuto come leader legittimo della Bielorussia, esattamente l’obiettivo cui puntava innescando la crisi al confine. Varsavia non fa mistero del disappunto: «Non accoglieremo nessuna soluzione presa senza di noi e che passi sopra le nostre teste», ha detto il capo dello Stato Andrzej Duda.

Sassoli: “Strazia morte bimbo a porte d’Europa”

“Seguo le tragiche notizie dal confine tra Polonia e Bielorussia dove hanno ritrovato un bambino di un anno senza vita nella foresta.”

Ha scritto su Twitter il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli. “È straziante vedere un bambino morire di freddo alle porte d’Europa. Lo sfruttamento dei migranti e dei richiedenti asilo deve cessare, la disumanità deve cessare”.

 

Unicef, l’indignazione non serve, servono i fatti

“Tutti i paesi europei hanno firmato la convenzione per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”. Se la notizia del bambino morto di freddo al confine tra la Polonia e la Bielorussia è confermata ora “non possono solo indignarsi. Devono applicare ciò che hanno ratificato, l’Ue ha lasciato morire bambini e bambine in mare ora lasciano morire bambini e bambine di freddo. Non si può più dire ’basta’, ora ci aspettiamo un gesto concreto”. Il portavoce di Unicef Andrea Iacomini ammette di non poterne più di sentire “le parole di indignazione delle istituzioni del mondo che quando accadono queste cose riempiono i giornali di frasi circostanza” e ricorda la vicenda di Aylan, il cui corpicino riverso sulla sabbia divenne un simbolo del dramma dei migranti. Anche in quel caso tanta indignazione ma nulla di concreto.

 

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