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2 anni agoon
Da anni, il mondo del lavoro non soltanto è al centro di dibattiti politici e analisi sociologiche, ma è anche protagonista di storie, racconti e romanzi – è, per esempio, il silente co-protagonista di “Sono fame”, ultimo romanzo di Natalia Guerrieri, che abbiamo letto e recensito qualche settimana fa.
Il lavoro e le sue degenerazioni – solitudine, alienazione, abusi e discriminazioni – travalicano i generi letterari e attraversano trasversalmente tutte le arti: ne è la prova “Cicala”, storia brevissima e illustrata di Shaun Tan pubblicata, in Italia, da Tunuè.
Protagonista di questa storia tenera e poetica è una piccola cicala verde – unica nota di colore di queste suggestive illustrazioni dell’autore – che lavora in un ufficio grigio e ostile. La cicala, nonostante lavori duramente, non è apprezzata e non riesce a costruire nulla per sé: costretta a dormire nell’ufficio, viene calpestata – letteralmente – dai colleghi e dai superiori, senza aver mai nessuno a cui poter chiedere aiuto.
Quando, dopo ben 17 anni in ufficio, finalmente il suo lavoro si conclude, nessuno la saluta – anzi, le intimano di svuotare al più presto la propria scrivania e di lasciare il proprio cubicolo.
Dopo averlo fatto, obbediente come sempre, la cicala non ha un’abitazione a cui tornare. La vediamo salire sulla cima del palazzo dove ha vissuto per gli ultimi 17 anni e la storia lascia presagire il peggio – ma, in una rivelazione colorata e commovente, Shaun Tan ci ricorda che noi non siamo il nostro lavoro, che non gli apparteniamo e che, anche se ne siamo circondati, la cattiveria e al grigiore non devono necessariamente appartenerci.
Anche se nessuno vede i nostri colori e anche se qualcuno li disprezza; anche se siamo costretti a infilarci in abiti e giacche che non ci consentono di volare; anche se tentano di schiacciarci disprezzando la nostra natura – nonostante tutto, rimaniamo ciò che siamo.
E dobbiamo esserne orgogliosi.
Shaun Tan in “Cicala” – storia dedicata alla memoria del padre, malesiano emigrato in australia descritto dall’autore come “un gran lavoratore con un pessimo inglese” – ci parla dell’amore per noi stessi, del perdono e, soprattutto, della speranza: un mondo migliore, più caldo e accogliente, può e deve esistere.
“Cicala racconta storia. Storia buona. Storia semplice. Storia comprensibile anche a umani. Tok! Tok! Tok!”
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