Una donna, appena assunta attraverso un’agenzia per il lavoro da un’azienda edile mantovana, è diventata vittima di condotte vessatorie e lesive della sua dignità personale e professionale.
La socia e amministratrice della società le ha imposto pratiche umilianti, come la consegna di un clistere, una dieta ipoglicemica, e di sottoporsi a massaggi sul luogo di lavoro. Inoltre, la donna è stata costretta a esami del sangue e a fornire la password per consultarli, tutto sotto il pretesto di fornire consigli sulla sua salute.
La società costretta a risarcire la vittima di 12.500 euro
La Corte di Cassazione-sezione lavoro ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Brescia, condannando la società a versarle 12.500 euro per il danno biologico e morale. La vittima, che ha iniziato a soffrire di depressione a causa del comportamento del suo capo, è stata riconosciuta come vittima di “straining”, ovvero messa sotto pressione da comportamenti stressanti del datore di lavoro.
La situazione è emersa anni dopo i fatti del 2013, quando la donna e altre lavoratrici sono state vittime di condotte culminate in denigrazioni e umiliazioni. La Corte ha respinto il ricorso presentato dalla società, ritenendo in parte inammissibile e in parte infondato.
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