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Cultura

“Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa”: fuochi e braci dello stesso inferno – recensione

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“Io sapevo di dover mentire, mentire su tutto perché è così che ci si protegge.”

I diciassette racconti contenuti nella raccolta “Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa”, scritta da Francesca Mattei ed edita da Pidgin Edizioni, sono tutti fiamme, fuochi e braci dello stesso inferno.

Con una scrittura asciutta, quasi asettica, l’autrice ci racconta di ciò che resta dopo un incendio, di quel che resiste al fuoco; con la sua penna, Francesca Mattei tocca il nucleo irriducibile delle cose, e lo estrae, esponendolo impietosamente al nostro sguardo in tutta la sua miseria: sotto le risate e le serate con gli amici, oltre i riti sociali, le passioni e i sorrisi, restano solo cicatrici e rovine, teschi perfetti, gonne sgualcite e bottiglie annerite. Cose squallide e preziose.

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Desolazione e macerie

Tutto, ne “Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa”, era e non è più. Ci sono case rovinate, bruciate, abbandonate; sigarette consumate, birre lasciate a metà, amori sfumati via e diventati noiosi. A tutti i personaggi manca qualcosa o qualcuno e ogni cosa è consunta, corrotta e desolata.

“Ho pensato a tutte quelle cose che dovrò fare per il resto della mia vita, come tagliarmi le unghie o lavarmi la faccia, e ho sentito una grande stanchezza per il tempo che si ripete,”

Non c’è desiderio di riscatto né voglia di cambiare le cose: non si cerca alcuna redenzione. C’è solo un prima e un dopo, qualcosa nel mezzo, ma siamo in un luogo, in un momento, dove non ci sono eroi e nemmeno strade da percorrere; tutto è al limite, spinto ai margini e perduto.

Incolmabili distanze

Quel centro annerito e bruciato che resiste al fuoco e che ciascuno di noi possiede è, nella narrazione di Francesca Mattei, irraggiungibile dalle altre persone. Le macerie dove si aggirano i suoi personaggi mutilati sono infestate dagli altri – persone con cui i protagonisti di questi racconti parlano, interagiscono, con cui instaurano rapporti, ma che non conoscono mai sul serio e che, per quanto si sforzino di farlo, non riescono mai a toccare davvero.

C’è sempre un’incolmabile distanza tra gli attori di queste storie, un vuoto pesante che provoca inevitabilmente malesseri e sofferenze.

“È troppo tardi, troppo tardi per tutto: per tornare indietro, per andare avanti, per chiamare Luca, per sentirsi giovani e protagonisti e giusti, e adesso è solo una serata.”

Ma questa distanza, questa incomunicalibilità drammatica e dolorosa non riguarda solo gli altri, ma anche i protagonisti stessi dei racconti che non si conoscono e non si riconoscono, e che nel tentativo di ritrovarsi si feriscono, si usano e si distruggono.

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Corpi, croste e teschi

E mentre cercano di raggiungere se stessi e di parlarsi, guardandosi in specchi rotti e deformanti, bevendo, drogandosi e lasciandosi andare ad amori casuali, questi personaggi non trovano altro luogo per per urlare la propria voce che il proprio corpo – un corpo abusato, ferito, tagliato, pieno di croste e malato, che diventa il teatro in cui le storie raccontate dall’autrice vengono messe in atto.

“I teschi umani si assomigliano tutti e questo è doloroso.”

Ma tutto questo comunque non basta: anche la distanza tra sé e se stessi è ineluttabile e incolmabile. Non restano altro che le cicatrici, la pelle strappata e le ossa, ma niente, alla fine, cambia o si risolve.

Perché leggere “Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa”?

Chi dovrebbe leggere “Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa”?

Sicuramente coloro che amano i racconti minimalisti: quelle di Francesca Mattei sono storie che evocano un’eco di quel Carver passato sotto la scure di Lish, oltrepassando però le sue tematiche e il suo tempo. I racconti de “Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa” non lasciano spazio al futuro: sono lettere scritte con la fuliggine che parlano di ciò che è stato e che non sarà più.

Nichiliste e sincere fino ad essere cattive, le voci dei protagonisti di questa raccolta non cercano luci e non ne offrono: godono per un istante della grandezza di un incendio, prendono quel che offre loro la notte e il mattino dopo ricominciano a morire.

Non c’è altro: sangue secco, polvere e morte. A volte basta, e il talento è anche sapere quando non serve aggiungere niente di più.

Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa

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