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Politica

Quirinale: addio al semestre bianco o è solo un arrivederci?

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articolo di Biagio Fusco

Il Legislatore, e cioè al Politica, in queste ultime sedute e battute parlamentari di fine anno discute a ritmo incessante intorno ad un’ipotesi suggestiva, che certamente non poteva non destare un certa perplessità negli ambienti istituzionali, a partire dal Colle che sull’argomento ha assunto una comprensibile posizione di stupore: il divieto di rieleggibilità del Capo dello Stato alla fine del suo mandato settennale, con contestuale, logica, automatica abrogazione della norma che prevede la decorrenza del cosiddetto “semestre bianco”, e con tutte le annesse implicazioni, più o meno ponderate, cui inevitabilmente una riforma di rango costituzionale così impegnativa darebbe origine, sotto i profili di pertinenza giuridica ed anche politica.

Si tratta di una “battuta parlamentare” oppure è una seria possibilità?

Taluno, a torto o ragione, con ogni probabilità vede sottesa a queste intenzioni, che in verità non si connotano per la loro immediata ed univoca interpretazione poiché prima facie non supportate da adeguato approfondimento scientifico, la volontà di qualche gruppo politico per così dire “ snello ”, il quale immagina una rielezione a tempo di Mattarella, in attesa che si compia l’iter procedurale che conduca nelle more alla definitiva approvazione ed introduzione nell’ordinamento costituzionale di questo progetto innovativo di riforma.

Quantunque lo stesso Presidente, attualmente in carica, abbia con chiarezza lasciato intendere, in occasione del consueto evento di apertura dell’anno accademico tenutosi nel recente trascorso presso la Università La Sapienza di Roma, che il proprio orientamento non mostra elementi argomentativi che depongano in senso contrario rispetto alla generale rieleggibilità dell’Inquilino che abita al Quirinale, pur allontanando da sé la prospettiva da più parti auspicata di una sua personale rielezione, i rumors che provengono dai corridoi della politica nazionale accreditano in maniera via via più consistente una sua riconferma nei poteri, nell’ottica di una prorogatio “mattarelliana”.

Perché non una donna al Quirinale?

Ma perché non (e mai) una donna?

Non le si ritiene competenti? Forse nemmeno il modello europeo da questo punto di vista apre loro un varco, una breccia (ci vorrebbe uno squarcio) in quel muro di ipocrisia maschile? O peggio si tratta della solita questione della mancanza di numeri in politica, quelli che ti fanno contare anche senza prevalere ?

L’interrogativo, riproposta con il solito fare gladiatorio dalla Bonino, dà provocatoriamente la stura alla inaugurazione di un nuovo round/dibattito su di un tema annoso, non di certo al suo primo esordio polemico, che però stranamente o per un proposito ragionato e convinto non appassiona un gran seguito di opinionisti, esperti, interpreti ed addetti ai lavori; ma poi in fondo per quale ragione ci si dovrebbe affannare a confrontarsi su di una provocazione quando la si potrebbe serenamente considerare una vicenda naturale, nell’intimo della quale si giocherebbe una normale partita politica ?

Cosa pensano i partiti

I mesi che ci siamo appena lasciati alle spalle hanno evidenziato la contrapposizione delle visioni offerte dal panorama dei gruppi politici maggiormente rappresentativi a livello nazionale, dalle quali è emerso il rischio di una potenziale e scarsa condivisione, forse anche poco componibile, sulla scelta del nome, che costituisca la esaustiva sintesi di un ragionamento bipartisan.

Dopo un vertice tenutosi lo scorso ottobre tra le fila del centrodestra, al tavolo dei leaders della coalizione, organizzato all’indomani della sconfitta registrata nelle principali sfide rispetto al voto ammnistrativo di Napoli, Roma e Torino, Salvini annunciava la granitica ed inderogabile compattezza della intera sua area di appartenenza e che la dimostrazione di tale unione avrebbe avuto un segnale non equivocabile già nell’accordo sulla votazione della imminente legge di bilancio.

L’astensionismo, la debacle conosciuta nelle grandi Città e la litigiosità esasperata di un centrodestra spaccato perché arenato sui personalismi auto – riferiti perennemente ingabbiati da quelle voci fuori dal coro concentrate sulla occupazione di ruoli e poltrone, “ fanno perdere fiducia ed italiani “. Il segretario del Carroccio guarda di buon occhio ad un avvicendamento, che vedrebbe Draghi dirottato da palazzo Chigi al Quirinale, destituendo di fondamento le voci che vogliono indirizzata l’azione del governo nella previsione di elezioni anticipate al 2022, considerato che la contingenza pandemica impone responsabilità e forte sensibilità istituzionale.

Non è mancato persino qualcuno che abbia accostato la figura di Draghi a quella dell’indimenticato Presidente Einaudi, anche egli ex Presidente di Banca d’Italia e del Consiglio dei Ministri, e traghettatore della Nazione nel dopoguerra verso la stagione del grande boom economico.

Intanto è già partito il countdown della corsa al Colle.

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