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Letteratura

Bunny: pregi e difetti di un’occasione sprecata // RECENSIONE

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Perché dici tante bugie? E sulle cose più strambe e insignificanti?, mi chiedeva sempre mia madre. Non lo so, rispondevo sempre io. E invece lo sapevo. Perché così la storia era più bella.

Bunny è un libro bizzarro e dalle intenzioni particolari – questo è indubbio. L’autrice scrive bene, le premesse della storia sono interessanti e le tematiche insolite, ma c’è stato qualcosa, in questo romanzo, che non mi ha convinto: nonostante gli ingredienti della ricetta siano tutti saporiti e di buona qualità, la narrazione risulta sbilanciata.

Ecco, quindi, i motivi per cui Bunny non mi ha conquistata – e quali sono, nonostante tutto, i pregi di questa occasione mancata.

Bunny: di cosa parla?

La protagonista, Samantha, è un’aspirante scrittrice e studia in una scuola decisamente esclusiva e particolare, la Warren.

Sam sa che si tratta di una grande opportunità per lei, ma tra i viali alberati e i lunghi corridoi dell’accademia si sente un’outsider: in confronto alle altre ragazze che seguono i suoi corsi – ricche, belle e sempre perfette, deliziose come cupcake avvelenati e unite da un legame che Samantha non comprende – lei si sente decisamente fuori luogo.

“Fisso la faccia lasciva del dolce. Le membra deformi. Gli occhi capaci di qualsiasi cosa.”

L’unica amica di Samantha è Ava, un’ex studentessa d’arte della Warren dalle mani sempre bardate di pizzo e dagli occhi simili a quelli di David Bowie, che, insieme a lei, prende in giro le altre querule e frivole ragazze della scuola.

Tutto cambia quando le altre studentesse invitano Samantha a unirsi a loro per un aperitivo. Immersa in un’atmosfera cupa e poetica, da quel punto in poi la storia vira bruscamente verso una strada conturbante, abitata da creature fiabesche che sembrano uscite da un romanzo dell’orrore e che condurrà la protagonista verso un abisso inaspettato.

Quando il narratore inaffidabile confonde il lettore

Le premesse sono tutte positive: un’atmosfera piacevole, una trama insolita che diventa, dopo poche pagine, decisamente weird e una scrittura poetica che sorprende quasi a ogni riga. Cos’è andato storto, allora?

Il narratore a cui l’autrice sceglie di dare voce è inaffidabile – il lettore, fino all’ultima pagina, non riesce a stabilire il confine tra realtà e fantasia – e in sé questa non è affatto una cosa negativa; tuttavia, la storia è stravolta dal filtro di Samantha, arrivando a confondere chi legge in più di un’occasione. L’autrice abusa delle atmosfere oniriche e spesso si fatica addirittura a seguire il filo di ciò che viene raccontato: non solo non si capisce bene se quello che sta succedendo nella storia sia reale – caratteristica che, in linea generale, personalmente apprezzo in un romanzo – ma a volte non si capisce proprio la dinamica dei fatti che vengono narrati.

Un elemento che, in assoluto, poteva essere positivo in Bunny è portato all’estremo, fino al punto di rendere incomprensibili diverse scene, rompendo il patto narrativo con l’autrice e straniando eccessivamente il lettore.

Un vero peccato, perché, dosando diversamente questa caratteristica, il risultato sarebbe potuto essere a mio avviso decisamente migliore.

Non solo difetti: una scrittura misteriosa ed elegante e un’ironia non comune e piacevole

Peccato anche e soprattutto perché, come dicevamo all’inizio, questo romanzo non ha solo elementi negativi: anzi.

Al netto dell’uso eccessivo della parola Bunny che troviamo nel testo – ci attestiamo intorno alle 300 ripetizioni – la scrittura di Mona Awad è bella, ricca, elegante e misteriosa: si tratta di un romanzo squilibrato ma scritto molto bene.

Non soltanto: un’altra caratteristica estremamente piacevole è l’ironia con cui l’autrice parla del mondo accademico e del mondo artistico in generale, colpendo senza pietà quei docenti-baroni e quegli scrittori pretenziosi e boriosi che, nascondendosi dietro la maschera dell’arte e della sperimentazione, producono testi noiosi, eccessivi e spesso mediocri.

A parer mio dovrebbe chiedere scusa agli alberi. E trascorrere un’intera giornata in ginocchio, nella foresta, a guardare i pioppi tremuli e le querce e qualunque altro albero venga abbattuto per diventare carta con gli occhi languidi colmi di lacrime è dire: Mi dispiace, cazzo, mi dispiace di ritenermi così dannatamente interessante quando è chiaro che non lo sono affatto. Ecco che cosa sono, invece: una noiosa assassina di alberi.”

Bunny: a chi è (s)consigliato?

Insomma, Bunny è un romanzo che non convince del tutto, che ha dei difetti ma che ha sicuramente diversi pregi. 

Lo sconsiglio a chi non ama il narratore inaffidabile e soprattutto a chi non sopporta l’idea di sfogliare centinaia di pagine senza sapere e soprattutto capire cosa stia succedendo; ma lo consiglio a chi invece apprezza molto l’estetica da dark academia e che, in favore di una bella scrittura, di un’ironia pungente e di un’atmosfera onirica è capace di andare oltre la razionalità e di accettare una storia un po’ irrazionale e squilibrata.

Non mi è mai successo di non scrivere niente, anche se non mi è mai mancato un altro mondo in cui scappare, anche se non ho mai capito come poter stare in questo senza che buona parte della mia anima ne sognasse un altro in cui vivere.”

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